Da Assisi più uniti
25 anni dopo la profezia di Wojtyla, per la pace e la giustizia.
La stampa non ha dato all’evento di Assisi la copertura che ci saremmo aspettati. Sfogliando i quotidiani in un bar vicino a Santa Maria degli Angeli, poco prima dell’arrivo della Frecciargento del papa e dei suoi ospiti, notavo che solo l’inserto Umbria di Repubblica ne riportava la notizia con servizio a centro pagina. Eppure i giornalisti accreditati presso la sala stampa erano 600, segno che l’interesse c’era.
Fra tutti, l’Avvenire è stato quello che ha dedicato più attenzione all’evento-Assisi. “Quel vento che torna a soffiare” era il titolo del pezzo di giovedì 27 ottobre. Ma guardando ora, a distanza di qualche giorno quanto avvenuto sulle colline umbre, verrebbe da dire che quel vento non aveva mai cessato di soffiare. La giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia non è stata, infatti, né un ricordo né una commemorazione per riprendere un cammino interrotto.
Quanto vissuto nel mondo di Francesco e Chiara da Benedetto XVI e leader religiosi del mondo intero, con rappresentanti di coloro che non si riconoscono in alcuna fede religiosa, è stato il segno che in questi venticinque anni si è fatta molta strada. Ci si è conosciuti, si è cominciato ad apprezzarsi, riconoscendosi per quel contributo che ogni tradizione porta con sé e che può rappresentare una sfida, ma anche un’occasione irripetibile.
L’evento voluto da Giovanni Paolo II era, come lo stile Wojtyla ci aveva abituati per un quarto di secolo, profetico e scenico. Non era mai successo, fino all’ottobre 1986, di vedere leader religiosi incontrarsi per pregare per la pace. Quella giornata è e resterà un’icona. Tuttavia quella profezia, in questi anni, è diventata quotidianità, è scesa dal palco per arrivare dove la gente comune si incontra ogni giorno: sulle strade, nelle case, sui treni. Non è sempre stato facile e non lo sarà mai. Ci sono state situazioni di conflitto sempre nuove e alcune stanno ancora cercando una soluzione.
Non si può negare, però, che, se oggi il mondo è diventato più piccolo, questo ha avuto una conseguenza per coloro che seguono religioni diverse. Il clima che si è respirato ad Assisi è stato, infatti, quello di un incontro atteso fra persone che hanno imparato a stabilire rapporti di stima e amicizia. Non è caduta solo la paura, non si sono ignorati i problemi, ma, soprattutto, si è cominciato a riconoscere le proprie colpe e responsabilità.
Benedetto XVI ha avuto il coraggio di affermazioni forti e inequivocabili: «Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia, anche in nome della fede cristiana, si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo pieni di vergogna». Un passo importante per un papa e per la cristianità di fronte ai fedeli di altre tradizioni e a persone che non credono.
Ma non basta. Papa Ratzinger ha offerto un’analisi profonda di questo quarto di secolo, mettendo in evidenza un duplice rapporto fra religione e violenza. Si tratta di modalità apparentemente contraddittorie, ma ugualmente letali per gli effetti che producono. Da un lato, infatti, ha individuato proprio nella religione la causa delle tensioni, che hanno caratterizzato questi anni, fino alle guerre, in particolare il terrorismo. Dall’altra, ha sottolineato come una concezione errata dell’umanesimo abbia preteso di cancellare il rapporto dell’uomo con Dio finendo per giustificarne la distruzione da parte di altri uomini.
Infine, l’ambito si è allargato: non solo cristiani e fedeli di tradizioni religiose, ma anche quegli uomini di buona volontà che, come ha sottolineato la professoressa Julia Kristeva, sono coscienti che «di fronte alle crisi e alle minacce che si aggravano, è giunta l’età della scommessa sul rinnovamento continuo della capacità di uomini e donne a credere e a conoscere insieme. Affinché nell’universo bordato di vuoto, l’umanità possa perseguire ancora a lungo il proprio destino creativo». Indovinato, quindi, e profondamente intonato all’evoluzione della storia umana, il titolo della giornata: “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”.
Sembra, quasi, che Assisi abbia riconosciuto l’inizio di un processo di ricucitura di quella frattura fra religione e cultura che Paolo VI aveva definito la vera tragedia del XX secolo. Nessuno lo ha nominato, ma papa Montini aveva intravisto già a partire dagli anni Sessanta quanto papa Ratzinger sta ora leggendo con la chiarezza che lo contraddistingue e con l’attualità di un oggi allora imprevedibile. Nella Ecclesiam Suam, un’enciclica che pochi ricordano e nessuno mai cita, aveva tracciato i contorni di una Chiesa che abbraccia l’umanità, caratterizzata da grandi cerchi concentrici mai chiusi da muri, ma che si sfumano l’uno nell’altro a partire da coloro che seguono Cristo per arrivare fino ai confini dell’umanità.
Questa umanità, cosciente o meno, è scesa dalla collina di Assisi più unita nella ricerca non solo della pace, ma anche di quella verità che, pur essendo una, non può essere appannaggio solo di alcuni. Siamo tutti impegnati a ricercarla e a comprenderla, ma insieme.
Roberto Catalano