Da Assisi ad Assisi, da Francesco a Francesco
La visita di papa Francesco ha posto un sigillo fondamentale sul trentennio che si è concluso ieri in un’Assisi illuminata da un sole caldo e da un’aria tersa dopo i nubifragi di domenica e il tempo incerto di lunedì. Papa Bergoglio con la sua presenza ha dato una continuità ideale e reale a quanto Giovanni Paolo II aveva intuito nel 1986: la necessità di pregare per la pace e il ruolo che le religioni e i loro leader potevano avere per evitare i conflitti come pure per contribuire a risolverli.
Ma la continuità era evidente anche con quello che Benedetto XVI aveva disegnato solo 5 anni fa quando, da grande uomo di cultura oltre che di religione, aveva capito che la questione della pace non è legata solo all’impegno degli uomini di fede. Essa è anche un progetto culturale, che nasce dal riconoscere i propri errori – e Ratzinger lo aveva fatto in modo sincero e aperto ammettendo quelli della Chiesa cattolica – e dal camminare insieme con altri credenti e, nel mondo secolarizzato e globale, anche con coloro che non si riconoscono in nessuna religione.
Ieri sera con papa Francesco circondato da leader di ogni parte del mondo nelle fogge più tipiche delle rispettive tradizioni religioso-culturali, ci siamo tutti resi conto che il mondo non è più quello di Wojtyla nel 1986. È cresciuta la complessità. Dal mondo bi-polare della Guerra fredda ancora viva negli anni ’80 si è arrivati a quello globalizzato e multipolare di oggi, dove anche le guerre sono cresciute, senza mai essere, come lo stesso Bergoglio ha dichiarato recentemente, guerre di religioni. Di fronte alle migrazioni, causate proprio da conflitti irragionevoli e da catastrofi naturali, alle paure di chi parte e spera di arrivare in un “mondo nuovo” e di chi, spesso suo malgrado, si trova a dover accogliere masse crescenti di profughi, è necessario ridisegnare un progetto di pace.
È quello che ha fatto papa Francesco davanti ai leader di molte religioni capaci di rappresentare una fetta grande della nostra umanità odierna. Come sempre – ci ha ormai abituato a questo – Francesco ha voluto salutare i leader presenti uno a uno, iniziando da un gruppo di profughi, immagine delle sfide del mondo di oggi. Non si è trattato solo di un atto formale. Nulla – lo abbiamo ormai imparato – è mai formale o casuale con Bergoglio. Sono stati attimi profondi, di rapporto intenso, capaci di stabilire intese importanti per il futuro.
Un secondo momento – altro simbolo efficace per una strategia di pace – è stato il pranzo per il quale, nel Sacro Convento, accanto alla Basilica che contiene il corpo di Francesco d’Assisi, il papa ha voluto tutti accanto a sé per un momento conviviale: appunto il pasto comune. Niente di più familiare ma anche niente di più coinvolgente. Consumare un pasto insieme, sotto lo stesso tetto, nello stesso luogo è in sé un atto di pace. In passato, i trattati di pace venivano sanciti proprio con pasti comuni. Quando ci si accosta alla stessa tavola e si condivide lo stesso cibo non è possibile combattersi.
Un terzo momento – quello centrale – è stata la preghiera comune. Ben inteso, non insieme. Ogni religione aveva un luogo dove i suoi seguaci potevano recarsi per pregare, secondo la propria tradizione religiosa, per la pace del mondo. Ognuno lo ha fatto distintamente; un atto che ha inteso cancellare il dubbio, spesso tanto paventato da settori all’interno della Chiesa cattolica, che questi momenti trasudino di sincretismo. Come sempre, i cristiani hanno pregato insieme a dimostrare che l’unità fra le Chiese è fondamentale se vogliamo dare un contributo importante, come seguaci di Cristo, alla causa della pace.
Infine, il momento finale – quello senza dubbio più spettacolare – sulla piazza antistante la Basilica di San Francesco, assolutamente blindata da una sicurezza capillare che non ha lasciato nulla all’approssimazione. Leader di ogni religione seduti a semicerchio a dimostrare che nessuno reclama una superiorità, nonostante la stima e il riconoscimento di tutti per il papa di Roma, che in Bergoglio trova un punto di riferimento riconosciuto e credibile per tutti coloro che credono e anche per coloro che non credono. Il suo nome, il suo esempio di vita sobria, le sue parole, i suoi gesti sono stati costantemente citati e riferiti nel corso dei 29 panel o tavole rotonde svoltisi nella giornata di lunedì e di martedì mattina in ogni angolo di Assisi, di Santa Maria degli Angeli con sconfinamenti a Spello e a Foligno. La conclusione dell’evento Assisi 2016 è stato scandita da riflessioni profonde e vitali da parte di leader cristiani, buddhisti e musulmani, ma anche da condivisioni toccanti: quella di una giovane madre siriana arrivata in Italia attraverso i corridoi umanitari e quella di un anziano rabbino israeliano sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti.
A coronare la serata è arrivato l’intervento di papa Francesco che non ha guardato indietro per rievocare quanto successo 30 anni fa, ma ha tracciato una road-map per gli anni che abbiamo di fronte. «Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!», ha affermato Bergoglio. Papa Francesco ha declinato il significato di pace in questo nostro mondo del secondo decennio del terzo millennio, parlando di perdono, di accoglienza, di collaborazione e di educazione, come degli elementi fondanti per rendere possibile il sogno di coloro che credono alla pace, «uomini e donne di religioni differenti, [che] ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti». «Il nostro futuro è vivere insieme» ha affermato il papa, un’idea che universalizza la lettura del grande Bauman, che nel corso della cerimonia inaugurale, aveva sottolineato come l’umanità oggi sia chiamata a vivere solo la dimensione del “noi”, dimenticandosi il “loro”.
Assisi 2016 ci riporta, tuttavia, al primo Francesco della storia. Ancora una volta è stato decisivo l’ambiente Assisi. Qui, infatti, attorno alla tomba dell’uomo che seppe lasciare le armi e ogni ricchezza per vivere come fratello di tutti, soprattutto dei poveri e dei lebbrosi, fino ad avere il coraggio di incontrare il sultano Malik al-Kamil, lo stesso uomo che amò e rispettò ogni essere vivente nella natura che ci circonda, la pace si respira e penetra in ciascuno che cammini su queste strade della cittadina umbra. La famiglia francescana ha offerto in questi giorni un esempio di ospitalità umile, intelligente, rispettosa costantemente al servizio dei leader delle diverse fedi. È stata una dimostrazione evidente di come l’umiltà di cui Francesco d’Assisi parlava e che chiedeva ai suoi seguaci sia una condizione fondamentale per il dialogo e per la pace. Una dimostrazione ulteriore che la pace la costruiamo tutti, insieme, e che ognuno porta un dono unico e imprescindibile per i processi di pace.