Cyberbullismo e reati online: “Non ne vale la pena”

Sono aumentati a dismisura i reati che possono essere commessi online e molto spesso i minori li commettono "per scherzo". Ne parla il docufilm “Non ne vale la pena” realizzato da polizia di Stato e Unieuro nell'ambito del progetto #Cuoriconnessi
Immagine dal docufilm Non ne vale la pena di Luca Pagliari, progetto #cuoriconnessi

Angela si è trovata davanti a un giudice per aver fatto degli “scherzi” telefonici, insieme agli amici, ad uno sconosciuto. Lei non lo sapeva, ma quelle erano molestie telefoniche. Islam sin da piccolo è stato preso di mira dai bulli. Per lui essere maltrattato era normale. Poi, è cresciuto e ha deciso di vendicarsi: così, uno alla volta, i bulli sono diventati vittime e lui il cattivo. Andrea aveva scambiato foto intime di una ragazza con gli amici: si divertivano, pensavano di non fare niente di male, e invece stavano commettendo un reato.

Le storie di questi tre ragazzi (i nomi sono di fantasia) sono stati raccontati nel documentario “Non ne vale la pena”, girato a Reggio Calabria con la regia del giornalista e storyteller Luca Pagliari. Realizzato da Unieuro e polizia di Stato nell’ambito del progetto #cuoriconnessi, è stato presentato a Roma in anteprima nazionale il 4 dicembre. Nella scuola superiore della polizia di stato sono intervenuti l’amministratore delegato di Unieuro, Giancarlo Nicosanti Monterastelli, e il direttore marketing Marco Titi, il direttore centrale per la polizia scientifica e la sicurezza cibernetica, Luigi Rinella, il direttore del servizio polizia postale e per la sicurezza cibernetica, Ivano Gabrielli, e il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma Eugenio Albamonte. In platea c’era una rappresentanza delle scuole secondarie romane e dei commissari della scuola superiore di polizia.

Presentazione del docufilm “Non ne vale la pena” del progetto #cuoriconnessi di Polizia di Stato e Unieuro. Foto di Sara Fornaro

I tre protagonisti del documentario raccontano le loro storie spiegando perché “non vale la pena” commettere reati online. Perché dopo si prova solo vergogna, “ci si sente stupidi e piccoli”, perché prova dolore anche chi sbaglia, perché con te soffre tutta la tua famiglia. I tre ragazzi non pensavano di fare una cosa sbagliata. Per Andrea e Angela erano solo scherzi, per Islam era una giusta vendetta. Tutti e tre sono stati sottoposti alla “messa alla prova”, un percorso alternativo, a determinate condizioni, al procedimento penale, che prevede l’impegno ad aderire a un programma di risocializzazione e rieducazione, che ha l’obiettivo di far comprendere che l’errore e il reato commessi possono diventare un momento di maturazione e di crescita. Adesso, spiegano i ragazzi, si mettono “nei panni degli altri” e sanno cos’è l’empatia. Se vedono qualcuno in difficoltà cercano di aiutarlo, prima di agire riflettono. Anche questo, commenta Angela, significa essere grandi.

Il documentario sarà messo a disposizione delle scuole sul sito www.cuoriconnessi.it. Gli insegnanti potranno scaricarlo dopo aver compilato un modulo online e vederlo con gli studenti: un’occasione per parlare dei reati che, anche inconsapevolmente, vengono commessi online da ragazzi che, forse, avrebbero bisogno solo di qualcuno che si prenda cura di loro, che dia loro un abbraccio, che dia loro credito, come spiegato nel video dal procuratore della Repubblica Roberto Di Palma. Negli anni il progetto #cuoriconnessi, sottolinea Marco Titi, direttore marketing di Unieuro, ha coinvolto centinaia di migliaia di ragazzi, ha prodotto 5 libri distribuiti gratuitamente per oltre un milione di copie, le puntate della webtv dedicate alle storie di #cuoriconnessi… Insomma, aggiunge, è diventato un punto di riferimento per le scuole, per i ragazzi e per i genitori, raccontando storie che portano a riflessioni profonde sull’uso della tecnologia, senza dare giudizi, lasciando agli studenti e ai docenti la possibilità di un confronto da cui può nascere un’occasione di crescita.

Nato nel 2016 per promuovere un utilizzo responsabile della tecnologia e contro il cyberbullismo, il progetto #cuoriconnessi sta affrontando anche reati più gravi. Nasce dalla collaborazione di Unieuro con la polizia perché, “Essere leader di mercato, ha commentato l’ad dell’azienda, Nicosanti Monterastelli, comporta delle responsabilità”. Si fa parte della comunità, per cui bisogna cercare di aiutarla. “Bisogna rendere consapevoli i ragazzi degli effetti dell’uso distorto della tecnologia”.

Nei reati online commessi dai minori, spiega il direttore della polizia scientifica Rinalli, colpisce la mancanza di consapevolezza rispetto alla proprio condotta e alle relative onseguenze. L’importanza delle campagne di prevenzione come #cuoriconnessi sta nel far capire il valore che può avere una qualsiasi azione commessa all’interno della Rete, che amplifica i danni dei comportamenti sbagliati. “Nessun reato – sottolinea Rinalli – può essere considerato uno scherzo”. Purtroppo, la varietà di reati che oggi si possono commettere in Rete è enorme e l’età delle vittime e degli autori dei reati si è abbassata moltissimo. I ragazzi tra i i 15-17 anni, aggiunge Rinalli, sono attratti dal brutto, dall’orrido, dalla pubblicazione e condivisione di immagini di incidenti, mutilazioni, anche da tutto il settore della pedopornografia, forse per il desiderio di cercare nuove emozioni che li porta a sperimentare e a vedere contenuti fortemente dannosi per la loro età. Bisogna essere gelosi della propria intimità, della propria sessualità.

L’impegno per la prevenzione dei reati online, ha affermato Ivano Gabrielli, direttore del servizio di polizia postale, serve a cercare di contenere fenomeni che potrebbero avere conseguenze molto gravi. I ragazzi vengono accolti in apposite stanze di ascolto, dove incontrano operatori addestrati per aiutarli. Dei casi raccolti, spiega il direttore, in media sono circa 400 ad avere rilevanza penale e portano alla denuncia di 100, 120 ragazzi, che però da quel momento iniziano un percorso virtuoso di riabilitazione, in cui collaborano tutti gli attori sociali coinvolti.

I ragazzi, però, commenta il magistrato Albamonte, dovrebbero sapere che la Rete non garantisce l’anonimato e quello che si compie online ha effetti e conseguenze nella realtà quotidiana. Bisognerebbe avere maggiore consapevolezze dei pericoli delle nuove tecnologie, ma ai ragazzi nessuno lo insegna. Il problema, spiega Albamonte, è che coloro che dovrebbero trasmettere questa consapevolezza non ne sono (in larga parte) capaci: né i genitori né gli insegnanti. Servirebbe un’apposita formazione, purtroppo non prevista né per chi ha figli né per chi insegna.

Potrebbero essere gli stessi ragazzi ad aiutare fratelli e sorelle minori e molto aiutano anche progetti come quello di #cuoriconnessi. Albamonte ha suggerito un modo per capire se si sta facendo qualcosa di male. “Se faccio uno scherzo, ma rido solo io e la vittima no, mi devo preoccupare. Se con altri amici facciamo scherzi sempre alla stessa persona, bisogna preoccuparsi. Se chi assiste a uno “scherzo brutto” non fa nulla, bisogna preoccuparsi, perché anche chi guarda ha le sue responsabilità”. Andando sul concreto, il magistrato ha spiegato, per esempio, che non è uno scherzo, ma è un reato creare falsi profili online, è reato accedere ai profili di altri senza permesso, usare i loro codici per guardargli il cellulare, riprendere e diffondere momenti intimi. È reato anche condividere una foto o un video intimo di qualsuno. Anche se li si manda a una sola persona. Per essere consapevoli bisogna informarsi, per evitare che, per scherzo, si finisca davanti a un giudice con accuse pesanti.

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