Cutro, per non dimenticare
Il decreto Cutro non frena le partenze. Sono 4600 i migranti che, negli ultimi giorni, hanno affrontato le acque del Mediterraneo per cercare di arrivare sulle coste italiane. Circa 800 i migranti che, su varie imbarcazioni, nella serata di ieri si trovavano nella zona di Pozzallo e Catania.
Una delle barche era in difficoltà e sono partiti subito i mezzi di soccorso. Da Pozzallo è partita la Guardia Costiera, è stato richiesto l’intervento anche della Marina Militare. Troppo duro il ricordo di quanto è accaduto a Cutro, quei ritardi nei soccorsi che sono stati fatali e che hanno portato via delle vite umane. Morti che potevano essere evitate. Stavolta ci si muove con solerzia, nessuno può permettersi delle falle con le polemiche ancora recenti.
Altri approdi a Lampedusa: sono 1300 coloro che sono arrivati nella giornata di venerdì, con 31 diverse imbarcazioni, piccole barche di fortuna che affrontano il mare senza nessuna sicurezza. Il giorno prima erano arrivati 1407 migranti con 13 imbarcazioni: stessa modalità, stessa tipologia di barche.
Intanto, tengono banco le polemiche seguite alla tragedia di Cutro. Il ministro Piantedosi ha difeso in Parlamento il suo operato, assicurando che l’Italia farà di tutto per non perdere vite umane. Meloni ha ribadito che il suo governo farà una lotta spietata ai trafficanti e agli scafisti e che farà di tutto per bloccarli alle partenze. Proclami e intenzioni che abbiamo sentito tante volte. Anche stavolta vedremo cosa accadrà.
Meloni è stata a Cutro, per presiedere il Consiglio dei ministri. Ma il corteo delle auto della premier e degli altri rappresentanti del governo è stato accolto con cori di protesta da parte dei cittadini. Un simbolico lancio di peluche contro le auto ha voluto dire lo sdegno della gente che non accetta che le scelte del governo, pur se non in maniera intenzionale, possano aver determinato la morte di 73 vite umane. Una protesta pacifica, solo morbidi peluche ma che, nell’intenzione dei calabresi, pesavano più delle pietre. Altri gruppi, invece, applaudivano l’operato del governo con applausi e frasi di tono del tutto opposto.
Nella riunione dell’esecutivo è stato licenziato il cosiddetto Decreto Cutro. Il titolo è emblematico: «Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare». La scelta del governo è chiara: sanzioni più pesanti per gli scafisti e, al contempo, si prevede un numero maggiore per le accoglienze. Nell’atrio del Municipio, Meloni ha scoperto una targa in onore delle vittime di Cutro. La precede una frase di papa Francesco. La premier ha sostato qualche minuto in preghiera, ha fatto il segno della croce e si è mossa verso la riunione ministeriale.
Non è andata però a rendere omaggio alle bare, a onorare quei morti in mare, a incontrare le famiglie, come invece aveva fatto, qualche giorno fa, il presidente Sergio Mattarella. Molti l’hanno notato. E c’è chi ha parlato di passarella. Ha difeso l’operato del suo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e le sue parole che sono state tacciate di disumanità. La premier ha ribadito che il governo è impegnato – è lo sarà sempre – per salvare vite umane mentre si impegnerà per bloccare alla partenza gli scafisti.
Ed è tutto molto difficile anche per la gestione delle salme. Molti familiari vorrebbero riportare in patria i loro cari, ma non sempre è facile. Con l’Afghanistan dei talebani diventa tutto più difficile. Una via di collegamento sembra essersi aperta tramite la Germania. Venticinque migranti, invece, con il consenso dei parenti, saranno sepolti nel cimitero islamico di Bologna.
Non sarà facile dimenticare Cutro e l’Italia soprattutto ha il dovere di non farlo. Ma gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno ancora qualcosa da dirci. Nonostante i morti, dall’Africa e dall’Asia si continua a partire. Perché le condizioni di vita in alcuni Paesi rendono impossibile la sopravvivenza. Migrare è una necessità. Le migrazioni sono sempre esistite, anche nei millenni precedenti. Perché non si può impedire all’uomo di sottrarsi alla miseria e alla disperazione.
I proclami dei governi non arrivano nelle regioni sahariane e nell’Afghanistan del terrore talebano. L’istituito di sopravvivenza è più forte. E si decide di mettersi in mare per cercare un futuro migliore per sé e per i propri figli.
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