Cure palliative e giornata per la pace

La dimensione globale del dolore e la dimensione universale della cura. Quando i gesti di cura toccano il cuore e diventano lezione di pace. L’umanità che ha già vinto l’odio. Un convegno internazionale.
Mani che si stringono, foto di Freepik.

Il 21 settembre, Giornata mondiale per la Pace, ho seguito un interessante webinar con cui la IAHPC (International Association for Hospice and Palliative Care) ha voluto celebrare a suo modo l’importanza dell’evento. Il tema era originale e suggestivo: La cura spirituale nelle malattie gravi: coltivare una cultura di pace (Spiritual care in serious illness: cultivating a culture of peace). Due ore di scambio e intenso ascolto reciproco partendo da due domande, in successione:

– in che modo, come operatori sociali nelle cure palliative, comprendete il significato della pace, e in che modo il vostro lavoro contribuisce a una cultura di pace in una famiglia, una comunità, un hospice o nel sistema sanitario?

in che modo questo è legato alla vostra fede o dimensione spirituale?

Tutti i partecipanti al dialogo erano figure di alto profilo: Katherine Pettus (membro della IAHPC e moderatrice del webinar), giurista con una lunga esperienza di importanti ruoli universitari in California e in Australia nonché volontaria in hospice (attualmente coordinatrice di progetti di sviluppo delle cure palliative nel mondo); Avtar Singh Cheema, assistente sociale di Punjab, fondatore della Palliative Peace International Death Doula Foundation; Abhijit Dam, medico e pioniere delle cure palliative e dell’hospice Kosish nelle regioni rurali del Bengala; Dingle Spence, fondatrice  della Palliative Care Association of Jamaica, e della Associazione Caraibica di Cure Palliative; Mhoira E.F. Leng, medico palliativista attiva da molti anni tra Scozia, Europa Orientale, India e Uganda.

Particolarmente significativa la scelta della prevalente provenienza geografica dei relatori e delle loro esperienze: l’India, nella complessità delle culture e delle diversissime caratteristiche geografiche, politiche e economiche del suo immenso territorio, rappresenta uno straordinario punto di osservazione di quanto nelle cure palliative i valori tradizionali incontrino la modernità e i modelli assistenziali nascano non “a tavolino” ma a partire dai bisogni concreti delle persone. Nei villaggi o nelle metropoli, nella povertà o nei grandi centri universitari, nelle diverse tradizioni religiose, con elemento comune la profonda spiritualità del popolo indiano. Ne ha parlato di recente Marina Sozzi in un interessante post sul suo blog: https://www.sipuodiremorte.it/la-dimensione-sociale-del-morire-lesempio-virtuoso-del-kerala-india-di-marina-sozzi/

Al tempo stesso, patrimonio unificante e universale sono i valori delle cure palliative: nel webinar, ancora una volta, è stata più volte richiamata l’intuizione originaria di Cicely Saunders, fondatrice del primo modern hospice, della dimensione globale del dolore. Non solo farmaci (indispensabili) per il controllo del dolore fisico, ma anche cura delle altre dimensioni: dolore sociale, psicologico, spirituale.

Proprio su questa dimensione universale della cura si è sviluppata la riflessione sul legame intrinseco fra cure palliative e pace. I cinque relatori, senza entrare nello specifico sul tema delle cure palliative negli scenari di guerra (a cui abbiamo fatto cenno in un recente articolo su Città Nuova https://www.cittanuova.it/cure-palliative-in-tempi-di-guerra/?se=022) hanno risposto pienamente alla domanda iniziale.

Nelle campagne, o in un hospice nella periferia più povera, così come per le strade tra i malati abbandonati e soli, i gesti di cura (l’abbraccio, la relazione di reciprocità che nasce fra famiglie, morenti e curanti) toccano i cuori reciprocamente diventando di per sé una “lezione” di Pace. Dove nasce un hospice, spesso la comunità si unisce in una condivisione che è già di per sé costruzione di rapporti pacifici.

Nella vicinanza ai morenti, che “parlano” fino all’ultimo di vita se accompagnati nella dignità, nella gratuità e nel rispetto, si percepisce l’assurdo di una cultura di guerra e di morte che stronca le vite in nome di interessi economici ed egoistici. Nel “bicchiere d’acqua” che il saggio Sikhs offre al nemico in battaglia in quanto essere umano, pur sapendo che così lui ritornerà a combatterlo, c’è tutta la forza dell’umanità che “ha già vinto” contro l’odio.

Molto ricco l’approfondimento della seconda parte della domanda. Se da una parte i valori spirituali e religiosi sono spesso il “motore ispiratore” di progetti innovativi, nel tempo dell’assistenza è la comune umanità a emergere nitidamente nei rapporti personali: «non tutti credenti, ma persone capaci di amare», diceva ancora Cicely Saunders. La condivisione fra i relatori e i partecipanti al webinar è stata profonda e di per sé testimonianza del valore aggiunto che la spiritualità, in tutte le sue molte modalità di espressione, può portare a una vera cultura di pace.

Ogni singola “storia di vita” che si conclude nell’intimità di una casa o di una stanza di un hospice, può diventare così segno di autentica trasformazione “politica”. Due espressioni significative della chat, per concludere: «Forse solo quando i bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali di una persona sono soddisfatti, possono emergere la forza e la pace interiori». E ancora: «La pace può nascere accanto al letto del malato, con lui, la sua famiglia, la comunità».

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