Curdi di nuovo sotto attacco

Dal 23 dicembre scorso è riesplosa l’ennesima operazione militare turca contro i curdi con bombardamenti nel Kurdistan iraqeno e nel Rojava siriano. Come sempre gli attacchi sono “dovuti” alla reazione contro attentati del Pkk, sia quelli rivendicati che quelli smentiti. Ma con la guerra di Gaza e quella in Ucraina in primo e secondo piano, nell’informazione di massa queste cose non fanno notizia.
Le installazioni nel giacimento petrolifero di Al-Suwaidiya mostrano gravi danni a seguito di un presunto attacco aereo turco con un veicolo aereo senza pilota (UAV) che - secondo le Forze Democratiche Siriane (SDF) - ha preso di mira l'impianto nella città di Qamishli, nel nord-est della Siria, 6 ottobre 2023. Le forze turche continuano a condurre attacchi con droni su quelli che chiamano "obiettivi terroristici" nel nord della Siria che sospettano abbiano legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di opposizione. Foto: EPA/AHMED MARDNLI via ANSA

Con l’informazione concentrata sulla guerra a Gaza e in Cisgiordania e sull’allargamento del conflitto che si espande e si complica (Libano meridionale, Houthi nel mar Rosso, attentato Isis in Iran, raid in Siria e Iraq, ecc.) e con le notizie sulla guerra in Ucraina sempre più in secondo piano, di quanto sta succedendo in Siria e Iraq non se ne parla quasi. E nella logica del consumo di informazione, ciò che non si dice, non conta.

Cosa sta succedendo, in particolare, fra Turchia e curdi iraqeni e siriani? Andiamo con ordine: il casus belli di fine dicembre è solo l’ultimo di una lunga serie a partire dal 2015, giusto per non rivangare gli ultimi 40 anni e magari anche gli ultimi 100. Un comunicato askanews del 27 dicembre, riferisce quanto ha dichiarato il ministro della difesa di Ankara, Yashar Guler: «In risposta agli attacchi alle nostre posizioni, abbiamo lanciato attacchi aerei contro 71 obiettivi nel nord dell’Iraq e della Siria. Circa 59 terroristi sono stati neutralizzati». I “terroristi” nel linguaggio militare turco in questo ambito sono evidentemente curdi affiliati al Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), e detto così sembrerebbe quasi una reazione tutto sommato dovuta a qualche azione terroristica dei soliti curdi (soliti beninteso secondo gli standard turchi). Insospettiscono un po’, a voler essere pignoli, le dimensioni di questa reazione (a qualunque cosa essa reagisca): parecchi attacchi aerei (con F16 e droni) praticamente ogni giorno, da oltre 2 settimane contro 71 obiettivi sia in Iraq che in Siria sanno molto più di un’operazione bellica che di una reazione a qualche iniziativa terroristica più o meno “sgarrupata” del Pkk.

Dall’altra parte, dal Kurdistan iraqeno e dal Rojava curdo-siriano, sono emerse reazioni di fonte affidabile che raccontano le cose in un’altra prospettiva. Così si esprime su Asianews (5 gennaio) padre Samir Youssef, parroco del villaggio di Enishke, nella diocesi di Amadiya (Governatorato di Dahuk, a pochi km dalla frontiera turca nel Kurdistan iraqeno): «Ogni giorno l’aviazione turca bombarda le nostre montagne e prende di mira i nostri villaggi». Padre Youssef parla di nuovi attacchi che si susseguono dallo scorso 23 dicembre, probabilmente in risposta ad un attentato del Pkk ma, secondo lui, anche approfittando dell’attenzione mediatica internazionale concentrata su Gaza. Gli fa eco dal nordest della Siria – dal territorio del Rojava controllato dalle Sdf (Forze democratiche siriane) che raggruppano Ypg e Ypj curde e milizie arabe locali – l’arcivescovo siro-ortodosso di Jazira ed Eufrate, mar Maurice Amsih, che denuncia i bombardamenti turchi contro infrastrutture civili vitali e sulla popolazione delle province di Hassaké e Deir-El-Zor, definendoli palesi violazioni dei principi religiosi, delle convenzioni umanitarie e degli standard sui diritti umani.

La questione degli attacchi turchi ai curdi in Siria e Iraq (oltre alle azioni anti curde nella stessa Turchia) come reazione ad attentati del Pkk non è una novità. E non è lontana nel tempo la precedente “reazione” ad un attentato suicida di 2 militanti del Pkk effettuato il 1° ottobre 2023 ad Ankara, davanti al Ministero dell’Interno. La reazione che ne seguì, tra il 5 e il 10 ottobre nel nordest siriano, secondo Human Rights Watch (hrw.org), si concentrò particolarmente sulle infrastrutture idriche: furono bombardate con droni 18 stazioni di pompaggio dell’acqua e 11 centrali elettriche, distruzioni che causarono la mancata distribuzione di acqua e corrente elettrica a 4,3 milioni di cittadini. Morti e feriti a parte.

Secondo i dati del pur discusso (ma sempre informatissimo) Sohr (Syrian Observatory for Human Rights), l’osservatorio con base a Londra che non piace a molti, in particolare al governo turco: nel 2023 la Turchia avrebbe condotto qualcosa come 117 attacchi contro il Rojava siriano, l’ultimo dei quali il 23 dicembre contro ospedali, scuole, fabbriche e case. E sugli attacchi contro le popolazioni del Kurdistan iraqeno non conosco numeri precisi, ma per quanto ne so sono stati comunque numerosi e continui.

Tutte cose che non riescono a raggiungere l’informazione di massa, e che quindi non fanno notizia. Ma che è importante conoscere, secondo me.

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