I curdi con Assad e Putin
In un’intervista pubblicata il 27 dicembre dall’agenzia Reuters, il dirigente politico curdo-siriano Aldar Xelil, ha detto: «I nostri contatti con la Russia e il regime di Bashar al-Assad mirano a trovare chiari meccanismi per proteggere il confine nel nord. Vogliamo che la Russia svolga un ruolo importante nel raggiungimento della stabilità».
I curdi siriani rispondono così all’annuncio tweettato da Donald Trump sull’abbandono della Siria da parte dei militari Usa, da due anni alleati e sostenitori dei curdi nella lotta che ha quasi scalzato il Daesh dalla Siria: per evitare un’invasione della loro terra da parte dell’esercito turco, i curdi non potevano fare altro che chiedere un intervento dell’esercito governativo siriano e la protezione della Russia. Il presidente turco Erdogan, solo da poco alleato con Russia e Iran, andava sbandierando da anni la sua piccata ostilità verso i curdi, soprattutto verso quelli siriani.
Si è immediatamente verificato quanto l’ex capo del Pentagono, il generale dei marines James Mattis appena “licenziato” da Trump, aveva paventato tra le conseguenze di un “tradimento” Usa nei confronti dei curdi, e dopo il via libera di metà dicembre dato da Trump a Erdogan sull’occupazione militare del Rojava curdo. La reazione turca mostra un’indignazione di maniera: «Le milizie curde dell’Ypg, l’esercito curdo-siriano, non hanno alcuna autorità per invitare altri elementi nelle zone sotto il loro controllo nel nord-est della Siria», scrive in una nota il ministero della Difesa turco.
Non si capisce perché dei siriani (anche se curdi) non avrebbero l’autorità di “invitare” l’esercito governativo siriano, in un territorio siriano a pieno titolo, per difenderlo da un’invasione esterna che ha lo scopo dichiarato di distruggere il loro Paese. Chi dovrebbe avere diritto a questa autorità? Il presidente statunitense o quello turco? Così l’esercito di Damasco è entrato nell’area di Manbij (Governatorato di Aleppo) su invito dell’Ypg, che si è ritirato nei territori curdi più ad est, e i russi hanno assicurato la loro protezione.
Le truppe governative siriane si erano ritirate dal territorio curdo nel 2012, 6 anni fa, in un momento difficile per i governativi. Le milizie Ypg e quelle Ypj delle donne curde erano diventate di fatto le forze armate del Rojava.
Da settembre 2014 l’Ypg-Ypj è stato coinvolto dagli Usa nella guerra al Daesh. L’assalto decisivo che ha fermato l’espansione dei jihadisti si è verificato a Kobane nel gennaio 2015, quando i curdi hanno bloccato l’accesso del Daesh al confine turco, iniziando poi a respingere i jihadisti fino a Raqqa (la capitale siriana del Daesh) e poi lungo l’Eufrate fino a Deir Ezzor e oltre.
Che Mosca sia interessata ad un’alleanza con i curdi abbandonati da Washington è abbastanza evidente. Il territorio curdo del Rojava, sostenuto dai russi, si presta molto bene come base militare in grado di tenere a bada le mire neo-ottomane di Erdogan e la sua smania di umiliare i curdi siriani, colpevoli di essere alleati del famigerato Pkk (il partito dei lavoratori del Kurdistan) che in Turchia è stato messo al bando e il suo fondatore Apo Ocalan, catturato nel 1999 e condannato a morte.
Con la conversione della pena in ergastolo in seguito alle pressioni europee, dal 2002 Ocalan è l’unico detenuto del carcere di Imrali, un’isoletta del Mar di Marmara, in Turchia.
Il Pyd (partito dell’unione democratica) che governa il Rojava potrebbe a questo punto diventare un alleato permanente della Russia in territorio siriano e di fatto svolgere una funzione molto simile a quella che il libanese Hezbollah (il partito di Dio) ha nei confronti dell’Iran. Così i turchi, alleati scomodi ma necessari alla Russia, invece di diventare i controllori della Siria rischiano di diventare i controllati dalla Siria.
Un vertice tra i governi turco e russo è in corso a Mosca per prendere atto della svolta negli equilibri del conflitto siriano. Per la Russia è evidente che il dispiegamento delle truppe siriane nell’area a nord-est di Aleppo aiuterà molto a stabilizzare una situazione da anni molto critica.