Cura e reciprocità
Quando siamo malati, in ospedale o a casa, ci viene spontaneo pensare che la cura e l’assistenza siano un aiuto e un servizio che ci viene offerto da qualcuno, operatore sanitario o familiare. Implicitamente assumiamo che chi cura ha un ruolo attivo, mentre il malato è confinato in un ruolo passivo. L’alternativa, opposta, è l’autodeterminazione del paziente. Ma forse c’è anche un altro possibile quadro di riferimento.
Proviamo ad accostare l’arte del curare con il principio di reciprocità. Prendiamo ispirazione dalla cosiddetta regola d’oro, presente in quasi tutte le culture del mondo e religioni monoteiste, oltre che base per il concetto di diritti e doveri umani. La formulazione più comune è: «Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te». C’è anche una enunciazione meno esigente: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».
L’Altro
L’etica che scaturisce da questa regola chiede di entrare pienamente in relazione con l’Altro. Ne segue un codice di comportamento che prevede rispetto della dignità altrui, benevolenza nei giudizi e negli atti, riconoscimento e rispetto tra individui e tra comunità, assenza di volontà di dominio, giustizia sociale. Le conseguenze sono enormi a tanti livelli.
Per esempio, la cura di tipo medico, sanitario, sociale non esaurisce la dimensione costituiva della cura, che attraversa le vite di tutti, anche di persone che svolgono professioni differenti da quelle cosiddette di cura.
Nella rete dei rapporti che si intrecciano nelle varie fasi della vita, ci capita continuamente di prenderci cura di altri e di essere curati da altri: è un’astrazione assurda pensare che si venga al mondo, si viva, si cresca, in una sorta di isolamento autosufficiente. La persona è relazione, così come è cura. La persona non è tale se non è anche, e costitutivamente, relazione. Scriveva a riguardo Ricoeur nel 1954: «Non vi è, in effetti, vita privata se non protetta da un ordine pubblico; il focolare ha intimità solo al riparo di una legalità (…). È l’astratto a proteggere il concreto, il sociale ad istituire l’intimo».
Rapporto medico/paziente
Non è così scontato pensare alla cura come a una pratica che chiama in causa la reciprocità. In particolare, nel rapporto medico/paziente un intervento professionale frutto di alta competenza e correttezza sul piano delle conoscenze scientifiche, ma dal punto di vista relazionale asettico, freddo, lontano dal vissuto, sarà sempre riduttivo e parziale, e a forte rischio di essere inefficace.
Il compito della cura è anche di ravvivare la relazione personale di prossimità, come stimolo a rivedere il legame sociale, sempre a rischio di spersonalizzazione e burocratizzazione. La recente legge 219/2017 su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento ha introdotto nuove e forti affermazioni, anche nel piano giurisprudenziale, sentenziando che: «Il tempo della comunicazione… costituisce tempo di cura».
Reciprocità decisionale
Il nuovo modello clinico conseguente a quanto detto, è illustrato nel testo Cura e reciprocità. Molti saperi per un contributo dialogico sulla reciprocità come nuovo paradigma di cura (Il Mulino 2022). Viene suggerito un approccio multidisciplinare, con proposte teoriche – formulate da 16 autori di 12 diverse discipline scientifiche – e testimonianze concrete.
Questo “nuovo” modello decisionale supera i modelli del paternalismo forte (praticato in passato da molti medici) e della scelta indipendente (oggi in voga e basato sulla sola autodeterminazione del paziente). Propone invece un decalogo concreto di azioni per arrivare alla “reciprocità decisionale”.
Il professionista risponde alla richiesta d’aiuto del malato condividendo con lui non solo le proprie conoscenze, ma anche i propri bisogni, pensieri ed emozioni. Rispettando i timori del paziente, ascoltandone le paure, informandolo con chiarezza e delicatezza, se lo fa ”alleato” nella cura.
Esperto di comunicazione
Nello stesso tempo, anche il professionista cresce nel rapporto grazie a questo scambio nella reciprocità, perché fa sue le debolezze e i limiti del malato. Diviene esperto nella comunicazione, nella ricerca delle cause di patologia e nella capacità di porvi rimedio. Crea una valida compliance terapeutica, perché il paziente partecipa attivamente nella cura, segue i consigli, adotta un nuovo stile di vita. In pratica il medico gestisce “umanamente” le fasi cruciali dell’esistenza, sia del paziente che proprie. Ne trae così il massimo beneficio, migliorando il proprio stile di vita e di lavoro. Ogni malato diviene così un arricchimento per il medico.
Miglioramenti del sistema
In più, sul piano del rapporto con l’organizzazione, la reciprocità si estende, perché il professionista riesce a contribuire meglio al sistema (sanitario, pedagogico, psico-sociale), segnalando miglioramenti e innovazioni da adottare per il benessere del singolo e dell’intera collettività.
Un nuovo modello clinico decisionale su cui riflettere, per una cura che coinvolga tutti, a 360 gradi.
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Cura e reciprocità. Molti saperi per un contributo dialogico sulla reciprocità come nuovo paradigma di cura. Volume I (Il Mulino, 2022) – Collana Sistemi di Welfare diretta da Tiziano Vecchiato.
Ogni volume è diviso in 4 sezioni:
1. Sapere bioetico in sanità. Riflessione sulla reciprocità nel contesto di cura.
2. Altri saperi: reciprocità in ottica interdisciplinare, con visione olistica.
3. Tradizioni sapienziali e religioni: un contributo comprensibile e condivisibile da spiritualità, filosofie o tradizioni, senza sincretismi.
4. Esperienze e testimonianze.
Tra gli autori: Piero Coda, Giuseppe Milan, Lucio Torelli, Giovanni Guandalini, Valter Giantin, Renzo Pegoraro, Tiziano Vecchiato, Antonio Da Re, Alberto Voci, Vincenzo Pace.