Il cuore del Primo Maggio a Loppiano batte per la pace
Le piazze del Primo maggio nel mondo sono diverse. Quella di Loppiano, in provincia di Firenze, più che una piazza è il crinale verde brillante di una collina adibita ad anfiteatro, e parla di pace.
La mattinata è fresca e luminosa, mentre giovani di ogni parte d’Italia, e anche d’Europa, arrivano con ogni mezzo di trasporto: pullman, auto, treno, scooter, anche a piedi.
Dal primo meeting giovanile, nato quasi per caso il 1° Maggio del 1973, la data del Primo Maggio nella Cittadella Internazionale di Loppiano è diventata l’appuntamento fisso per tantissimi giovani.
L’evento di quest’anno è dedicato alla pace mondiale e si intitola “Pulse” Il motto è: Change your heart, change the world, come dire: se vuoi portare la pace, comincia da stesso, cambia il tuo cuore e cambierai il mondo.
Tra i protagonisti della giornata, i giovani delle Comunità islamiche d’Italia con gli Imam Izzedin Elzir (Comunità Islamica di Firenze e Toscana), Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, Yousef Sbai (Massa Carrara), Mustapha Batzami (Teramo), Kamel Layashi (Comunità islamiche del Veneto), Nader Akkad (Trieste).
Il programma comincia con le band e le loro canzoni. Cantano anche il Gen Verde e il Gen Rosso , mentre i ballerini dell’Associazione Culturale Dancelab Armonia salgono sul palco con le loro coreografie per la pace.
«Costruire ponti e non muri, incontrare le altre religioni, dialogare con le culture diverse per scoprire d’appartenere a una stessa famiglia sparsa nel mondo».
Questo il messaggio che i giovani organizzatori vogliono lanciare al Paese e al mondo intero, attraverso una testimonianza di pace e di collaborazione tra culture e religioni diverse.
Cominciano le testimonianze. Luca racconta l’esperienza di Mohamed che, arrivato su un barcone nel nostro Paese, si è ammalato di leucemia, ed è stato accolto da una famiglia italiana che l’ha accompagnato durante tutto il tragico decorso della sua malattia. Poi, c’è Maddalena che dà voce alla storia di una sua coetanea che da anni convive con il padre alcolista.
A metà mattinata, arriva il messaggio registrato di un gruppo di giovani siriani, della città di Kfarbo, villaggio cristiano vicino alla città di Hama in Siria.
Nel silenzio raccolto dell’anfiteatro, il sacerdote che li accompagna dice:
«La guerra ha fatto nascere nel cuore dei giovani un sentimento di sfiducia nel mondo e si chiedono: il bene si può trovare ancora in questo mondo che spende tanti soldi per uccidere e blocca con l’embargo l’arrivo del cibo necessario per le persone che vogliono vivere in Siria?
Questa guerra sta ammazzando lo spirito dell’umanità che prima guardavamo come a una sola famiglia».
E ancora: «I giovani di Kfarbo non vogliono lasciare la loro terra e anche se in qualche momento rischiano di morire, loro preferiscono rimanere nel loro paese, sopra la terra o sepolti, ma sotto la loro terra».
La domanda nasce dal profondo di quel silenzioso senso di abbandono: cosa possiamo fare noi, qui? Cosa? Ma rimane sospesa, mentre continuano le testimonianze.
Quella del Siracusa Summer Campus esperienza fatta da un centinaio di giovani di ogni parte d’Italia nelle periferie di Akradina e Grotta Santa, in provincia di Siracusa: «Siamo andati soprattutto per prenderci cura dei minori: ragazzi brillanti, ma invisibili, che vivono ai margini della città.
Abbiamo organizzato per loro laboratori, di musica, danza, teatro, giornalismo, pittura, per far vedere loro che un’alternativa è possibile ed esiste. Negli anni abbiamo visto cambiare sguardi e modi di fare, e questo ci ha dato sempre più coraggio, voglia di fare e lottare».
Sono giovani coraggiosi quelli che salgono sul palco di Loppiano, che non hanno paura di rischiare la propria vita anche andando in territori di guerra, quando occorre. Come i ballerini dell’Associazione Dancelab Armonia che, dal 2014, partono per Betlemme, dove organizzano Campus d’arte per i bambini dei territori palestinesi, grazie alla collaborazione e all’amicizia con padre Ibrahim Faltas della Custodia di Terrasanta.
Poi, c’è il pranzo. Il tempo cambia e un nuvolone nero comincia a scaricare la pioggia sui giovani. Nessuno si muove, è venuto il momento che tutti aspettavano, quello del flash mob, il loro messaggio di pace indirizzato al mondo.
Un barcone, fatto di giovani, simbolo del viaggio dei popoli del mondo in cerca di futuro, vita, dignità, prende forma sul crinale della collina vicina al palco. È a quel punto che arriva Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e premio Unesco per la pace 2017.
Prende la parola con forza, raccontando il lavoro per la vita che quotidianamente i suoi cittadini fanno pur vivendo in una delle periferie dimenticate d’Europa. Racconta ai giovani il lavoro di pace, accoglienza e coraggio della sua comunità:
«Per noi queste persone non sono migranti, non sono profughi. Sono naufraghi. Noi non lavoriamo per la morte, ma per la vita. Dobbiamo lavorare per la vita, lì dove siamo. Per portare questa cultura di vita e di pace!».
«Lavorare per la vita, lì dove siamo», ecco che la domanda rimasta sospesa sembra trovare la sua risposta. Poi, i cantautori Amara e Paolo Vallesi intonano la loro canzone: “Pace”. E succede che il sole fa capolino, brillante e più forte delle nuvole. La pioggia cade ancora per un po’, ma alla fine vince il sole, vince la speranza, oltre ogni paura:
Pace, in nome dell’amore e della libertà
la pace, per ritornare a dare un senso a questa umanità
la pace, la pace.
Ritorneranno giorni, le notti di speranza
avremo amore in petto e non potremo stare senza
saremo i nostri giorni, da vivere in un fiato
ritornerà il coraggio, ritroveremo pace.