Cuba e la sfida della pace

Come avvenne con papa Giovanni 52 anni fa, durante la crisi per i missili, nel pieno della Guerra fredda, anche con papa Francesco, la diplomazia della mitezza ha favorito la ripresa della via del dialogo
Bandiera statunitense e cubana

Il 25 ottobre 1962, 52 anni fa, papa Giovanni, al cuore della crisi per i missili a Cuba, si rivolge a Kennedy e a Chrushev in questi termini: «Con la mano sulla coscienza ascoltino essi il grido d’angoscia che in ogni parte della terra, dai piccoli innocenti agli anziani, dai singoli individui alle comunità, sale verso il Cielo: pace! pace! Rinnoviamo oggi il solenne appello e scongiuriamo tutti i governanti di non rimanere insensibili a questo grido dell’umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace, così eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventose conseguenze».

Sicuramente molti, avendo sentito la straordinaria notizia di un nuovo dialogo tra Cuba e Stati Uniti, hanno ricordato il grido giovanneo, che cambiò l’orizzonte in quel momento convulso e favorì la ripresa della via della pace. Lo stesso Roncalli cominciò a pensare ad una enciclica sulla pace, partendo dalla netta impressione di essere stato ascoltato dal mondo intero in quei giorni così drammatici.

Sorprende la decisione, evidentemente convenuta, di ringraziare papa Francesco da parte sia di Raul Castro che di Barak Obama, riconoscendo così che senza papa Francesco la ripresa di un dialogo non sarebbe stata possibile. E questo è tanto più sorprendente, perché avviene da parte del presidente americano, geloso custode della laicità dello Stato. Kennedy non si rivolse mai per nome verso papa Giovanni.

Non si tratta di un protocollo più disinvolto, ma della percezione che l’azione di papa Francesco è andata oltre ogni previsione e accortezza diplomatica. Non ha riguardato solo l’ospitalità, che pure c’è stata, né dei contatti assolutamente riservati che la diplomazia vaticana ha tenuto con sapienza e accortezza.

C’è la grazia di stato, che papa Francesco ha offerto a un dialogo così difficile e delicato, per il valore simbolico di Cuba nell’America Latina e nel mondo. C’è una singolarità di Cuba che lo stesso Obama riconosce, confrontandola con i rapporti di lunga lena con altri Paesi comunisti come la Cina e come il Vietnam. Ma c’è anche una singolarità di papa Francesco, che sa dare grazia, intensità evangelica alle sue parole, che proprio per questo rendono di carne i cuori di pietra.

Dalle informazioni giornalistiche si comprende che il papa è partito dalla spinta di un popolo e dalla sofferenza delle vittime (i prigionieri a diverso titolo) e ha chiesto e ottenuto un gesto di umanità come fondamento e come fonte di ogni dialogo successivo. Se si pensa alle vittime, il dialogo diventa possibile e credibile.

Obama ha potuto così riconoscere il fallimento della politica, dell’embargo, che ha rafforzato il regime e fatto soffrire la gente. Castro ha potuto accogliere il tempo del dialogo, che si stava aprendo, oltre le contrapposizioni ideologiche.

Papa Francesco, con la sua diplomazia della mitezza, inaugurata a Lampedusa e consolidata con la preghiera per la Siria e con l’incontro spirituale a Roma con Simon Peres, Abu Abbas e Bartolomeos, fa della debolezza evangelica la sua forza storica, perché i gesti evangelici assumono profondità e le sue parole di dialogo e di perdono frantumano le astuzie della politica e sono accolte dalle vittime.

Papa Francesco non è un professionista della politica, né un apprendista della diplomazia, che vive di astuzie e di furbizie e dimentica il dolore e la sofferenza dei popoli. È semplicemente uomo del Vangelo, che le vittime in ogni angolo della terra riconoscono e accolgono. Non insegue i potenti, non sta ai loro banchetti, ma li pone di fronte al giudizio delle vittime, che è il giudizio del messia della pace.

Tre settimane prima di morire, ricevendo il premio Balzan per la pace, papa Giovanni così conclude: «Obbedienza e pace: pace e Vangelo. Vangelo dell’obbedienza a Dio della misericordia e del perdono. Ecco il programma che l’umile servo dei servi di Dio propone oggi a tutti gli uomini di buona volontà».

Dentro questo programma, che ha la sua fonte nel Vangelo, sta l’azione di papa Francesco e il dialogo di Cuba. Per questo è stato una scossa al mondo, perché cerca ciò che unisce e non ciò che divide; perché parte dalle vittime, dal dolore dei popoli e delle persone; perché conosce la forza inerme del dialogo; perché si ispira alla cultura del perdono; perché non si arrende al conflitto; perché sa che solo le vittime sono i veri maestri della pace.

La sorpresa di Cuba attende nuove sorprese.

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