Cronache sanremesi

Il festival più morigerato e buonista di sempre scollina senza danni. Il web straborda di valutazioni e verdetti diversi da quelli ufficiali, e su twitter i commenti festivalieri oscurano la campagna elettorale. La macchina del music-business usa la platea dell’Ariston per consacrare i più dotati tra i reduci dei talent-show
Fabio Fazio e Luciana Littizzetto

Confesso che dopo le due aperture precedenti affidate a Verdi e a Modugno, quando ho sentito Fazio e la Littizzetto aprire la terza serata col “trottolino amoroso” di minghiana memoria ho temuto il peggio. E invece anche stavolta quasi tutto s’è mantenuto su un livello più che dignitoso pur perdendo qua e là un po’ di smalto. Non a caso anche nella terza serata le emozioni più intense le ha regalate una performance fuori concorso, quella dello straordinario Antony Hegarty, al pari di Avidan, un ancor poco conosciuto fuoriclasse della voce, dotato di un timbro androgino, lirico ed etereo, assolutamente unico. La sua soffusa e autobiografica You are my sister era davvero da brividi.

In ogni caso, tra gli effetti collaterali di quest’era di spending review, c’è indubbiamente il fatto d’aver dato una bella spuntatina anche ai tradizionali eccessi sanremesi. «Ho fatto errori che a pensarci non rifarei» attacca la Molinari dando il via alla kermesse. «Mentre il mondo cade a pezzi io compongo nuovi spazi», le risponde il basettato Mengoni, in testa alla classifica provvisoria grazie ai voti del popolo. Poi arriva la Canzone mononota di Elio e i suoi guasconi (indiscussi trionfatori dell’altro popolo, quello del web), e il festival riprende quota. Un caso vuole che a seguire arrivi la Ayane, altra papabile della vigilia, ma penalizzata dagli sms (solo terzultima al momento). Poi ecco un’altra reduce di X Factor, Chiara Galiazzo: per lei un lusinghiero quarto posto, a conferma che ormai la macchina del music-business usa il Festival soprattutto per consacrare i più dotati tra i reduci dei talent-show. Per tutti gli altri è solo una vetrina promozionale da sfruttare a prescindere dalle classifiche.

A seguire arriva il monologo teneramente femminista e sanvalentiniano della Lucianina nazionale, che tuttavia vira presto verso il sociologico d’impegno, anche per far da eco al flash-mob planetario contro i femminicidi, senza dubbio una delle piaghe più assurde di questi anni impazziti. Di tenore non troppo diverso – ma col baricentro spostato sul solidarismo e sui giovani –  anche l’intervento dell’altro ospite di riguardo della serata, un brizzolato ed emozionatissimo Roberto Baggio. Il buonismo valoriale è del resto un ingrediente pressoché irrinunciabile della griffe fabiofaziana, tanto più di questi tempi. A volte può sembrare lezioso, ma è pur sempre meglio del kitsch e del sensazionalismo coatto che zavorra gran parte delle offerte televisive contemporanee. Sanremo del resto ha sempre dato fiato all’aria che gli gira intorno, e che gli spifferi di questa 63esima edizione girino al largo dal qualunquismo sentimentale di un tempo, lo si capisce anche da molti testi in concorso, come quello dei Modà (che vanno fortissimo su Facebook), secondi al momento con Se si potesse non morire, un brano farcito di buone intenzioni e di speranze alte.

Il tran-tran procede placido e prevedibile coi big già ascoltati nelle serate precedenti. Le sorprese arrivano alla fine, con verdetti che han destato perplessità perfino tra i parvenu che come sempre ingolfavano la platea dell’Ariston: Elio soltanto ottavo, Silvestri nono, Cristicchi addirittura undicesimo. Vabbè. La serata s’è chiusa col secondo quartetto di giovani, anch’esso di qualità più che accettabile: stavolta la spuntano il pinzimonio pan-cantautorale di Antonio Maggio e il pop vagamente etnico di Ilaria Porceddu.

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