Cronaca di un tradimento

In due occasioni il presidente Pedro Pablo Kuczynski aveva ottenuto l’appoggio dei settori che si oppongono alla liberazione dell’ex presidente Alberto Fujimori, condannato a 25 anni per crimini di guerra e corruzione. Con un voltafaccia spettacolare ha concesso un ingiustificabile indulto pur di mantenersi al potere
Dimostranti contro l'indulto concesso ad Alberto Fujimori dal presidente Pedro Pablo Kuczynski

Pedro Pablo Kuczynski

Pedro Pablo Kuczynski è diventato presidente del Perù nel 2016 grazie ai voti dell’anti-fujimorismo. Al primo turno superò di poco il 21% dei voti mentre Keiko, la figlia di Alberto Fujimori, il dittatore che nel 1992 s’impossessò di tutto il potere con un auto-golpe di Stato, sfiorò il 40% e i sondaggi annunciavano una sua vittoria nel ballottaggio.

Alberto Fujimori non è stato solo un dittatore assetato di potere, ma un corrotto che si è macchiato di crimini atroci e che ha derubato i suoi concittadini intascando donazioni che arrivavano dal Giappone per i più poveri. Sulla sua coscienza pesa l’episodio – tutto da chiarire – della sterilizzazione forzata di centinaia di migliaia di donne di umili condizioni. Per questi delitti aveva ricevuto una condanna a 25 anni di carcere.

Ma anche con Alberto Fujimori condannato, il fujimorismo è più vivo che mai in Perù, rappresentato dalla figlia Keiko, alla guida del partito Fuerza Popular (una mistura di conservatorismo di destra e di neoliberismo), e dal figlio Kenji. Entrambi sono deputati nel parlamento composto da una sola Camera con 130 membri. Era noto a tutti che nel caso di vittoria alle elezioni, Keiko avrebbe concesso l’indulto a suo padre. O almeno, era quello che annunziava.

Lo spettro del ritorno del fujimorismo, con la possibilità di un indulto, permise la convergenza di voti di quasi tutto il resto dello spettro politico, dai settori liberal, al centro, alla sinistra per far superare d’un soffio a Kuczynski il 50% dei voti. Il presidente durante la campagna elettorale chiarì che non avrebbe concesso beneficio alcuno all’ex dittatore. E la sconfitta di Keiko evitò il ritorno al potere di una famiglia che ben potrebbe interpretare un dramma shakespeariano: la moglie e madre, Susana Higuchi, a suo tempo fu arrestata e torturata dal marito; poi Keiko, formalmente alleata del papà, ma in segreto contraria alla sua liberazione per poter così controllare il partito; mentre il fratello Kenji aspira a rimpiazzarla come leader.

Kuczynski ha così ottenuto la presidenza ma con un parlamento controllato dal fujimorismo, che dispone di una settantina di legislatori. Keiko ha così potuto mettere alle corde un presidente dal tono sempre pacato, quasi un bonaccione di famiglia. Gli ha censurato 5 ministri e gli ha negato i voti necessari per la sua gestione. Finché non è apparsa la confessione di un dirigente del gigante edile Odebrecht che ha pagato tangenti succose in tutto il Sudamerica, che ha rivelato di aver pagato a un’azienda di consulenze di Kuczynski circa 800 mila dollari mentre era ministro, tra il 2004 e il 2007. Nel giro di una settimana, il Perù ha corso il rischio di un impeachment motivato dai progetti politici del fujimorismo, dato che non si ravvisavano estremi di corruzione in un episodio tutt’al più frutto di una disattenzione amministrativa (l’azienda era condotta da un altro socio). I pagamenti non erano frutto di tangenti, dato che di esse si occupava un ufficio appositamente creato dalla Odebrecht.

Ancora una volta, intellettuali, figure dello spettacolo, della società civile, giornalisti, politici sono riusciti ad ottenere, lo scorso 21 dicembre, che Kuczynski restasse al potere, per il rotto della cuffia. Anche dalla sinistra, che non è di certo allineata col governo, sono giunti degli aiuti. Nella votazione ha avuto un ruolo decisivo l’astensione di 10 fujimoristi seguaci di Kenji. Un fatto che ha destato immediatamente sospetti. E questi sono stati confermati appena tre giorni dopo, la vigilia di Natale, quando Kuczynski ha concesso l’indulto per “ragioni umanitarie” ad Alberto Fujimori. La motivazione del beneficio si basa su argomenti abbastanza deboli. Successivamente, si è potuto verificare che gli “atti preparatori” di questo indulto erano iniziati addirittura nello scorso settembre, provvedendo a rimpiazzare ministri e funzionari strategicamente necessari alla concessione del beneficio.

La decisione di Kuczynski ha indignato ministri, due dei quali hanno presentato le dimissioni, alti funzionari, consulenti e alleati che fino all’ultimo momento lo hanno appoggiato per evitare la destituzione. A tutti aveva assicurato fino al giorno prima che non avrebbe ceduto sull’indulto, ma in realtà lo patteggiava alle loro spalle, mentendo al Paese intero nel modo più spudorato. Tre dei suoi 18 deputati hanno già rinunciato al gruppo parlamentare.

Il suo futuro politico è veramente incerto e non pare proprio frutto di un lucido ragionamento: chi in due occasioni lo ha sostenuto al potere, non gli darà certo una seconda opportunità, mentre i voti in parlamento dicono chiaramente che Kuczynski è nelle mani del fujimorismo. Ma d’oggi in poi chi altri potrà appoggiare questo presidente che ha mentito nel modo più volgare?

Qualcuno potrebbe azzardare una spiegazione utilizzando la ragion di Stato (la governabilità) per giustificare una decisione così nefasta. Ma il problema di tale argomento è che in questo caso la ragione non era di Stato ma personale. Non era in gioco il Paese ma la parola d’onore e la funzione come presidente (nel caso di destituzione il suo vice avrebbe continuato il mandato).

«Ahi dura terra, perché non t’apristi?», si lamentava nell’Inferno dantesco il conte Ugolino, che di tradimenti ne sapeva non poco.

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