Cronaca di un tentato suicidio
Via Cicerone. A pochi passi da Piazza Cavour a Roma. È un assolato mezzogiorno estivo di fine luglio. Sull’autobus che percorre la via vedo i passeggeri volgere lo sguardo e il naso all’insù.La rotazione verso l’alto delle teste e degli occhi è al massimo dell’estensione possibile per un essere umano. Evidentemente avevano visto qualcuno sulla strada guardare nella stessa direzione ed hanno imitato il gesto anche loro. Sono distante da un finestrino dell’autobus e, benché incuriosito, non posso guardare fuori per capire cosa stia succedendo. È la mia fermata, di lato al cinema Adriano, e scendo.
La scena è irreale. Polizia, carabinieri e vigili del fuoco presidiano la via. Il mio autobus è stato l’ultimo a poter transitare. La strada viene chiusa immediatamente dai vigili urbani in entrambe le direzioni con dei nastri bianchi e rossi, come si fa nei film.
Uno sparuto gruppo di persone in ordine sparso guarda verso l’alto. Osservo le persone e gli sguardi convergono verso un bel palazzo bianco di fine Ottocento del quartiere Prati. Al quinto piano, costellato di fiori e piante, molto probabilmente un albergo, c’è un giovane seduto sul cornicione, con le gambe sporgenti e l’evidente intenzioni di lanciarsi nel vuoto. Il telo dei vigili del fuoco non c’è ancora. Si respira una evidente tensione. Non si riesce più a distogliere lo sguardo dal ragazzo. Un vigile del fuoco lo raggiunge nel balcone più vicino alla sua destra. Un poliziotto osserva dal balcone più vicino alla sua sinistra. Il vigile del fuoco comincia a parlargli per prendere tempo. Arriva un furgoncino rosso con la scritta: “Squadra teli”.
Passano dei minuti interminabili. Il ragazzo che si agita e si muove leggermente in avanti e indietro. Una bionda e distinta signora della borghesia romana con le borse della spesa cammina su e giù sull’asfalto rovente. Vorrebbe andarsene ma non ce la fa. «Ma quanto ci mettono a montare il telone».
«È la seconda volta che ci riprova – commenta un anziano del quartiere –. Evidentemente è malato o ha qualche problema». Il vigile del fuoco si avvicina ma non convince il ragazzo.
Si sta sospesi. Tra la morte e la vita. Sono attimi che bucano il tempo. Gli impegni passano in second’ordine, così il pranzo da preparare, la commissione da svolgere. La folla diventa più copiosa: abitanti del quartiere, lavoratori di passaggio, due giovani donne asiatiche, turisti. Non si può andare avanti senza sapere come andrà a finire. Il tempo si ferma. Nulla ha più senso se non la vita di questo ragazzo. Uno sconosciuto. Osservandolo con attenzione sembra molto giovane, sicuramente un minore. Un adolescente orientale. Forse un cinese o un filippino. Per noi sembrano tutti uguali, come per loro un italiano o un francese.
Nel frattempo il telone è pronto. È un gonfiabile quadrato, come quello dei bambini nei parchi giochi, di dieci metri per lato. Allungandosi verso il cornicione il vigile del fuoco passa un bigliettino stretto e lungo. Il ragazzo lo dipana tra le sue mani. Lo legge e piange, ma non fa avvicinare le guardie.
Un anziano signore con il pizzetto bianco scatta fotografie da sotto l’albergo. Un ragazzo gli passa davanti e lo insulta: «A deficiente, ma che ce devi fa’ con ste fotografie».
Ormai è chiaro che è un immigrato. «E noi paghiamo, anche per loro, i costi di tutta questa polizia», esclama un giovane piuttosto becero. Gli passano un cellulare. Il giovane ragazzo a cavalcioni sul cornicione parla a lungo con qualcuno. Un amico, una ragazza, i genitori. Cosa importa?
Il vigile del fuoco sorretto da un collega scavalca il balcone. Il ragazzo non si butta. Il vigile lo abbraccia. La folla, adesso, applaude. Qualche lacrima riga il volto di giovani e anziani. Il ragazzo scende su una scala allungabile di un mezzo dei vigili del fuoco. Fa impressione vederlo scendere a terra affranto e singhiozzante. Con la mano si copre gli occhi. È veramente giovane.