Crocifisso: i simboli uniscono
Il fatto è noto: il 3 novembre la Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo (espressione del Consiglio d’Europa e non dell’Unione europea), accogliendo la richiesta di una coppia veneto-finlandese, ha deciso di dichiarare contraria al diritto alla libertà religiosa l’affissione nelle aule delle scuole italiane del crocifisso. Ne abbiamo subito scritto su Città Nuova online (il sito Internet della nostra rivista), suscitando non poche reazioni tra i sempre più numerosi lettori del sito. Reazioni che abbiamo voluto raccogliere sul sito stesso, visto il loro indubbio interesse e le robuste e variegate argomentazioni proposte. Da queste lettere ed email appare evidente come ognuno di noi sia più che sensibile ai simboli che esprimono, sia per i singoli che per la collettività, la nostra identità e i nostri valori.
Guai a toccarli, allora! Filosofi, antropologi e anche teologi ci insegnano infatti che il simbolo è un concentrato di senso, tradizioni e identità. Qualcosa che “tiene assieme” non solo certi gruppi sociali, come i cristiani, ma intere società.
Il symbolon, lo sappiamo, nelle regioni mediterranee era, sin dall’inizio dell’era dello scambio sociale, un pegno: si spezzava in due parti o più parti una tavoletta di terracotta o di altro materiale friabile (la moneta dell’epoca) i cui pezzi venivano poi dati ai sottoscrittori del contratto. Solo rimettendo i pezzi assieme quell’oggetto riacquistava il suo valore pieno.
Il termine greco symbolon veniva dal verbo sun-ballein (mettere asseme, unire), che si opponeva a dia-ballein (dividere, separare), che, guarda caso, diede origine al termine diabolon, colui che separa, cioè il diavolo.
Pensiamo, ad esempio, alla stella di David per gli ebrei o alla mezzaluna dei musulmani: guai a toccare questi simboli fondanti e identitari, si rischia di provocare reazioni addirittura inconsulte, e la storia recente ce lo insegna. Eguale discorso vale anche per la nostra croce cristiana. Perché la gente reagisce? Perché, cancellando i simboli di una cultura o di una religione, si finirebbe col contribuire a cancellare anche la cultura, la religione che li ha prodotti. E questo è un male, in qualche modo un attentato alla vita civile di un luogo, di un popolo o di una comunità credente.
Non bisogna allora eliminare i simboli, culturali o religiosi che siano, ma semmai aumentarli. La diversità è infatti una ricchezza non solo per quei popoli che certa cultura europea un po’ troppo altezzosa considera “arretrati”, ma anche per le nostre società laiche e democratiche: essere “laici” e “democratici” a nostro parere non significa infatti appiattire la società e togliere alle persone ogni loro simbologia e i sistemi di valori che li hanno generati, quanto garantire una convivenza e una integrazione pacifica e arricchente delle diversità. Beninteso, rispettando la storia e la tradizione dei popoli e dei singoli: non si può negare che il crocifisso “abbia fatto” e “faccia” le nostre società europee, più di ogni altro simbolo.
Lo ammettono anche ebrei e musulmani, come testimoniano tra gli altri il vecchio saggio Amos Luzzatto, già presidente delle comunità ebraiche italiane e Abdellah Redouane, segretariato generale del Centro culturale islamico. È certa cultura “laicista” (non “laica”) che nega questa evidenza. Appaiono tra l’altro miopi e disinformati coloro – pochi, per fortuna – che accusano l’Islam di aver provocato la sentenza di Strasburgo, che invece ha origini europee.
Le tossine della divisione e del conflitto hanno prosperato (e purtroppo prosperano ancora) anche nel seno del Vecchio continente, come la storia insegna. Ma gli antidoti dell’incontro e del rispetto stanno agendo, e questa volta eviteranno il peggio. Gente come i nostri lettori lo conferma.