Crociati di ieri e di oggi

G. Verdi, I Lombardi alla prima crociata. Firenze, Teatro Comunale. Crociati come marines in Iraq, scene di guerra cruenta. Non stride più di tanto coi versi aulici di Cammarano (1843!) l’allestimento di Kevin Knight, complice la regia di Paul Curran, perché moderno, regola l’azione e lascia spazio alla musica. Irruenta, con cui il giovane Verdi ripete il trionfo del Nabucco, con minor spesa e minor esito artistico. Perché se è vero che i momenti magici non mancano – vale il celebre terzetto atto terzo ma pure alcuni furenti concertati o l’aria Salve Maria già presaga della preghiera omonima dell’Otello o certi cori – pure i ricordi belliniani-donizettiani- rossiniani balzano alle orecchie, insieme ad un’orchestrazione rumorosa sì, ma gagliarda e non senza sfumature (vedi la parte del clarinetto). Piaccia o meno, la vena maschia di Verdi si adatta anche a quest’allestimento dei novelli crociati, perché ritmo e forza, e una vena popolareggiante, imprimono il sigillo della giovinezza vittoriosa sulle sventure personali e familiari: amori perseguitati, morti redentrici, odi ricomposti e tanto popolo, cioè tanti cori. Quel che sbalordisce è che nulla è assurdo, nell’assurdità della trama: il miracolo lo fa al solito la musica prepotente e pure rozza, ma di una sincerità sentimentale in cui ci si ritrova. Merito del coro fiorentino, assai ben preparato, della direzione scattante, concisa di Roberto Abbado (gli si consiglierebbe un po’ di abbandono…), di un cast di livello: Dimitra Theodossiou, Giselda nobile e focosa, Ramòn Vargas, tenore soave, Erwin Schott, voce sempre più verdiana, misurata nel fraseggio e nel volume, e del nobile Pirro di Marco Spotti. Forse, la regia avrebbe potuto evitare alla Thedossiou una recitazione talora improba per un canto fiorito, ma lo spettacolo comunque ha retto, perché è intelligente, ed il pubblico l’ha ben capito. VICTORIA VINCE ANCORA Roma, Accademia Filarmonica Romana. Apre la stagione Victoria Mullova con l’amato Stradivari 1723 in un tutto barocco, con Vivaldi (Concerto in do magg. e Concerto in re magg. Grosso Mogul), e Bach (Concerto in la min.): la tecnica resta sbalorditiva, il senso ritmico accentuato e precipitato come, quasi quasi, una musica rock, ma ora, a 46 anni, la violinista russa sta guadagnando in calore e colore. Insieme al pregevole complesso Il Giardino Armonico diretto da Giovanni Antonini ci immerge nel suo modo di sentire Bach e Vivaldi: un po’ più di sogno, di languidezza rispetto al passato, ma sempre veemenza, cascate di suoni insieme al complesso, su cui non emerge, ma con cui suona. E con anima, bisogna dirlo, finalmente. Pubblico in festa, anche perché il Giardino ha donato musiche di Haendel e Giuseppe Sammartini, il cui Concerto in fa magg. per flauto dolce archi e basso continuo, eseguito da Antolini, era una delizia di gusto e di fantasia.

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