I cristiani nella guerra in Siria
Sono arrivati a Beirut da circa un mese, fuggiti avventurosamente da Aleppo Ovest: sono cristiani. Madre, padre, una ragazza di 13 anni e un ragazzo di 10. Non ne potevano più. Pallottole e missili anche, ma scuola a singhiozzo, niente lavoro, acqua e luce. Il nonno ucciso, un nipote rapito e mai ricomparso, una vicina morta per una pallottola vagante. A Beirut hanno chiesto alle Nazioni Unite lo status di rifugiati e la possibilità di emigrare. Si sono messi con impegno a studiare l’inglese. «Ritornerai dopo la guerra?», chiedo a Naji, il più piccolo.
«Io non tornerò mai!», mi risponde deciso e con gli occhi pieni di paura. All’interno dello scenario crudele della guerra in Siria e in Iraq, si manifesta sempre più la preoccupazione, per la prossima scomparsa dei cristiani dalla regione in cui sono nati e in cui vivono da due millenni. Naji e altre famiglie attendono con ansia il visto per emigrare. Lasceranno il Medio Oriente. Non hanno voluto loro la guerra, non l’hanno cercata né alimentata. Non si può certo incolparli se hanno deciso di andarsene. Loro gli effetti collaterali della guerra li subiscono soltanto, e non sono neppure rappresentati al tavolo delle trattative di pace.