I cristiani malesi possono chiamare Dio “Allah”

“Allah” è la parola impiegata dagli arabi di qualsiasi religione, compresi cristiani o ebrei, per indicare Dio. L’Alta Corte malese ha chiarito, dopo decenni di contenziosi giudiziari, che tutti possono usare il termine “Allah”, anche i non musulmani.
(AP Photo/Annice Lyn, File)

Una recente sentenza della Alta Corte di Kuala Lumpur (capitale della Malesia) ha messo fine – almeno così si spera – ad una lunga e dolorosa controversia in corso da anni fra i cristiani e il governo dello stato islamico del sud-est asiatico. La Malesia ha una popolazione che supera i 28 milioni di abitanti, dei quali la grande maggioranza sono musulmani (60%). I cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli che supera i 2 milioni e mezzo.

La questione in merito alla quale la Corte ha emesso il suo verdetto riguarda il contenzioso sulla possibilità o meno per i cristiani di usare la parola “Allah” per identificare e nominare Dio. Da circa tre decenni il governo aveva tentato a più riprese di impedire a coloro che non sono musulmani di usare il termine “Allah”. Negli ultimi tredici anni le tensioni hanno portato ad una vera battaglia legale che si è conclusa con il suddetto recente verdetto dell’Alta Corte, che ha chiarito che la decisione del Ministero degli Interni che alcuni anni fa aveva, di fatto, proibito questo uso, va oltre le competenze di questo organo statale e risulta contraria alla Costituzione.

Ma non è tutto. Il tribunale ha infatti sancito, a scopo educativo, la possibilità di far uso di altre parole tipiche del lessico musulmano. Si tratta di Kaabah (il santuario sacro per l’Islam alla Mecca), Baitullah (casa di Dio) e Salat (preghiera). L’estenuante confronto giudiziario era stato innescato nel 2008 quando Jill Ireland Lawrence Bill, una donna cristiana originaria del Sarawak, rientrando dalla vicina Indonesia era stata fermata in un aeroporto del Paese e trovata in possesso di alcuni compact disc con finalità educative. In esse il termine Allah era regolarmente usato per indicare Dio. Qualche anno più tardi il materiale era stato restituito alla signora in quanto il tribunale aveva dichiarato illegittimo il sequestro avvenuto in aeroporto.

Tuttavia era rimasta insoluta la questione dell’uso del termine Allah per significare Dio. Da sempre nei testi cristiani in lingua araba questa era stata la parola usata e, dunque, la questione ha via via suscitato tensioni non indifferenti soprattutto fra i fondamentalisti e le minoranze cristiane.

Nel frattempo, con la motivazione di non turbare l’ordine pubblico, il Ministero degli Interni del Paese asiatico aveva emanato una circolare che, “per motivi di ordine pubblico” proibiva ai cristiani l’uso del termine in questione. Proprio su questa decisione del Ministero degli Interni si è concentrata l’attenzione, e la conseguente sentenza, della Corte che ha ritenuto il Ministero responsabile di aver oltrepassato le proprie competenze e di aver indicato raccomandazioni contrarie alla Carta costituzionale. «La libertà religiosa – spiega il giudice – deve essere tutelata anche nel contesto di situazioni che coinvolgono l’ordine pubblico». Si tratta, quindi, di una sentenza contro una decisione dell’esecutivo, che non ha ancora chiarito se intende o meno ricorrere in appello.

In questi anni, due momenti fondamentali nel contenzioso sono stati il sequestro di trecento copie della Bibbia e la proibizione ingiunta al settimanale cattolico Herald Malaysia di usare la parola “Allah”. Entrambi gli eventi avevano suscitato non solo tensioni, ma grandi dibattitti sia politici che di carattere religioso. Da parte loro, i cristiani avevano sempre difeso la loro posizione affermando che già la pubblicazione di un dizionario latino-malese, circa 400 anni fa, dimostra come, sin dall’inizio, il termine “Allah” fosse stato usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale.

In effetti, questo Paese asiatico è multietnico e la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. Tuttavia, nella prassi è presente una pesante discriminazione a diversi livelli. Tale atteggiamento verso i cristiani sta crescendo a causa di una radicalizzazione che si è estesa negli ultimi anni anche per un uso politico della religione. Fra l’altro, la direttiva del Ministero aveva influito non poco su sentenze emesse a livello di tribunali di livello inferiore che nel corso degli anni hanno preso posizioni discriminatorie rivendicando il primato dell’islam nel Paese, spesso sulla base della predominanza etnica dei malesi, in maggioranza di fede musulmana. I cristiani sono invece soprattutto di provenienza cinese e indiana tamil.

Si spera che la recente decisione dell’Alta Corte segni un passo definitivo nel contenzioso specifico, ma il processo per allentare la stretta discriminatoria è tutt’altro che concluso.

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