Crisi Ucraina e scelte di pace, il ruolo dell’Italia

L’aggravarsi della tensione in Ucraina rischia di far esplodere una guerra tra Nato e Russia. Il dibattito atteso in Parlamento e le proposte del variegato movimenti per la pace in Italia
Ucraina . Truppe Nato nei vicini Paesi baltici (AP Photo/Mindaugas Kulbis)

Le commissioni esteri di Camera e Senato sono convocate in seduta permanente in Italia dopo le dichiarazioni di Putin sull’invio dell’esercito nei territori russofoni di Donetsk e Lugansk per “mantenere la pace”.

Il governo è chiamato a riferire in Parlamento la posizione del nostro Paese davanti al progressivo aggravamento delle tensioni in Ucraina che rischiano di sfociare in una guerra incontrollabile tra le forze Nato e la Russia.

«Il rischio di un grande conflitto è reale e deve essere prevenuto a tutti i costi» ha detto, come riferisce l’Ansa, il sottosegretario agli affari politici dell’Onu, Rosemary Dicarlo, alla riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza sull’Ucraina.

Come era prevedibile, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha voluto «esprimere la mia più ferma condanna per la decisione del governo russo di riconoscere i due territori separatisti del Donbass» come ha detto nella cerimonia di apertura del Consiglio di Stato dove Franco Frattini ha giurato come nuovo presidente del massimo organo della giustizia amministrativa. Di Frattini, ex ministro degli Esteri in due governi Berlusconi, si era avanzata l’ipotesi di votarlo per il Quirinale ma la proposta è poi decaduta per le critiche di alcuni su un suo presunto atteggiamento filo russo.

Esiste in effetti in Italia una polemica permanente tra posizioni considerate troppo indulgenti verso il potere autocratico di Putin oppure segnate da una decisa russofobia, giustificata anche da recenti notizie sul caso dell’ufficiale italiano accusato di fornire segreti militari a spie russe.

Sono lontani i tempi in cui sul Corriere della Sera nel 2007 si poneva come esempio dei rapporti con la Russia post sovietica la fornitura di sistemi d’arma complessi prodotti nella cosiddetta Tiburtina Valley, l’area industriale della città di Roma sulla via Tiburtina contrassegnata dalla forte presenza di Finmeccanica, oggi Leonardo.

I nostri caccia bombardieri pattugliano il confine dei Paesi baltici a ridosso del confine russo come dichiarano alti funzionari dell’ufficio Nato del ministero degli Esteri. Le stesse armi nucleari statunitensi presenti nelle basi di Ghedi e Aviano sono, teoricamente, un presidio di deterrenza verso il nemico più vicino che continua ad essere identificato con Mosca.

In tale contesto di amico-nemico è inevitabile che ogni posizione favorevole alla pace sia considerata come un cedimento alla logica rinunciataria del “meglio rossi che morti” in vigore al tempo del regime sovietico con le accuse ricorrenti verso i cosiddetti pacifisti.

Andando oltre le polemiche nominalistiche occorre saper entrare nel merito di fronte ad un caso concreto come quello che riguarda l’Ucraina.

Le organizzazioni riunite nella rete Pace e Disarmo chiedono, ad esempio, all’Italia e all’Europa di non appiattirsi sulla linea dell’Alleanza Atlantica ma di svolgere un ruolo di “neutralità attiva”  di «prendere iniziative urgenti e significative per ottenere una de-escalation immediata della tensione e avviare la ricerca di un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte, chiarendo la propria indisponibilità a sostenere avventure militari».

Un’iniziativa originale è stata attivata grazie alla piattaforma di Peacelink che ha permesso a diverse associazioni presenti sul territorio per condividere più punti di vista e analisi della situazione e proporre una presa di coscienza collettiva con manifestazioni diffuse in programma sabato 26 febbraio.  Di fronte alla «crisi in Ucraina e le tensioni fra Russia e Nato che rischiano di sfociare in una guerra dagli esiti imprevedibili, che potrebbe degenerare in un confronto nucleare» si invita ad agire perché «l’Italia e l’ONU svolgano un ruolo di distensione in questo difficile momento».

È difficile che tale messaggio riceverà un qualche ascolto nell’attuale Parlamento che il religioso comboniano Alex Zanotelli prende di mira direttamente per denunciare lo «scandaloso silenzio» di Camera e Senato «davanti a un governo Draghi che investe sempre più in armi e taglia i fondi alla sanità pubblica e alla scuola. In un tale contesto non dovremmo meravigliarci se la crisi Ucraina in Europa o su Taiwan in Asia, potrebbero farci precipitare in una guerra nucleare con la Russia o con la Cina. Basta un incidente ed è la fine. È questa militarizzazione mondiale che ci porterà nel baratro dell’inverno nucleare!».

Se su Il Foglio Matteo Matzuzzi intravede la possibilità che Draghi rappresenti, invece, l’ultima risorsa per arrivare ad una soluzione negoziata facendo proprio il messaggio  super partes di pace della Santa Sede, resta il nodo della partecipazione dell’Italia alle operazioni belliche. Una linea rossa che il nostro Paese ha varcato ormai più volte a partire dalla prima guerra del Golfo e dai bombardamenti nella ex Jugoslavia.

Può essere questo il tempo, forse, davanti alla minaccia nucleare del conflitto, di avviare un vero confronto nel Parlamento e nella società sul ruolo dell’Italia davanti alle scelte di pace e di guerra che toccano il destino di tutti.

 

 

 

 

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