Crisi Sri Lanka. Nel silenzio

Il silenzio, l’oblio e l’essere ignorati dal resto del mondo sembrano essere il destino dello Sri Lanka, l’antica isola di Ceylon, la perla dell’Oceano Indiano. Ma la crisi esplosa in questi giorni è molto grave e rischia di innescare sanguinose rivolte.
(AP Photo/Eranga Jayawardena)

Nel trentennio fra la metà degli anni Ottanta e il primo decennio del nuovo millennio, lo Sri Lanka ha conosciuto una delle guerre più violente e crudeli che si siano combattute in tempi recenti, quella fra i guerriglieri Tamil del Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam) e l’esercito regolare cingalese. Ma poco se ne è saputo, soprattutto, in occidente. Lo Sri Lanka, infatti, oltre a pesca, turismo ed alcune pietre preziose non ha altro da offrire al mercato internazionale. Soprattutto, non ha petrolio, gas o minerali indispensabili alla finanza, all’economia, alla telefonia e all’informatica. Quindi semplicemente non se ne parla. Mai.

In queste settimane, il destino pare essere simile a quello manifestatosi in tempi non lontani. Questa volta non si tratta di guerra, ma di una crisi economica senza precedenti, almeno dall’indipendenza, ottenuta nel 1948. La situazione economica e finanziaria dell’isola sta riducendo il Paese in condizioni inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Lo stato si è improvvisamente ritrovato (ma chi governa o ha governato lo sapeva benissimo!) con le casse completamente sprovviste di riserve in valuta forte (il dollaro americano per intenderci).

La situazione poteva essere sanata ritardando il pagamento dei prestiti e degli interessi attraverso una politica di moratoria per un periodo di cinque anni. Si tratta della via che viene adottata e permessa, almeno nella maggior parte dei casi, ai Paesi del mondo che affrontano crisi economiche simili. L’amministrazione di Colombo avrebbe potuto intentare questo percorso già lo scorso anno, prima della scadenza di un prestito da 6 miliardi di dollari. La somma poteva, infatti, essere utilizzata, come sostengono gli esperti del settore, per ottenere i beni essenziali.

Non è stato fatto ed ora sono proprio questi beni essenziali che mancano. In una stagione che per tutto il sub-continente (India, Pakistan, Bangladesh, Nepal) è il più caldo dell’anno, con un’umidità insopportabile, l’isola sta sperimentando tagli della corrente elettrica anche per 13 ore al giorno. Questo significa che, oltre a tutti i problemi connessi alla refrigerazione delle derrate alimentari, non funziona l’aria condizionata, ma neppure i ventilatori.

(AP Photo/Eranga Jayawardena)

L’attuale situazione di emergenza non solo crea disagi di diverso tipo e l’aumento dei prezzi di beni di prima necessità, ma rischia di creare una conflagrazione sociale. Le tensioni politiche sono già tangibili, con richieste di dimissioni del governo al potere, che viene attaccato dall’opposizione, che si rifiuta di appoggiare la richiesta di nuovi prestiti al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) che porterebbe solo a ulteriori debiti. Da varie parti si cerca anche di arrivare alle dimissioni del governo attuale per formarne un altro di emergenza nazionale.

Alla Pasqua celebrata in questi giorni dalla comunità cristiana, che ricorda con rabbia e terrore la Pasqua sanguinosa di alcuni anni fa quando in diversi attentati terroristici morirono centinaia di fedeli affollati in alcune chiese, si aggiunge in questo periodo il capodanno locale, chiamato “Aluth Avurudda” in lingua sinhala e “Puththandu” in tamil. La festa è riconosciuta come festa nazionale ed è festeggiata da tutte le comunità etniche e religiose. Normalmente, si indossano nuovi abiti, chiari e dorati, e si preparano dolci e riso mescolato con latte cagliato, secondo riti che devono avvenire in alcuni momenti del giorno ritenuti propizi.

Ma in questi mesi le celebrazioni sono quasi impossibili. Per ottenere beni di prima necessità sono necessarie ore di coda sotto un sole cocente, per poi scoprire con delusione che tutto è finito. E bisogna attendere anche giorni prima di potersi rimettere in fila e sperare di racimolare qualcosa. Dopo, però, in molte case non si riesce nemmeno a cucinare quanto eventualmente si è riusciti a comprare: il gas è introvabile (qui tutto funziona con le bombole le cui scorte si stanno assottigliando).

In effetti, la maggior parte della popolazione non ha soldi, mangia un pasto al giorno e per i più piccoli non c’è niente perché il latte in polvere è molto costoso.

Da circa dieci giorni una folla crescente di persone (di qualsiasi età e appartenenza religiosa) sta dimostrando davanti agli uffici pubblici chiedendo le dimissioni dell’intero governo guidato da Mahinda Rajapaksa, che era già stato a capo del governo anni fa e che rappresenta una delle figure più controverse nella storia del Paese. Da notare che il presidente Gotabaya Rajapaksa è omonimo dell’attuale primo ministro.

(AP Photo/Eranga Jayawardena)

I manifestanti non hanno intenzione di trattare, vogliono solo le dimissioni dell’esecutivo. Ovviamente anche l’opposizione ha le sue spiegazioni e rivendica di aver consigliato in passato alcune mosse e scelte che avrebbero evitato la situazione attuale. Tutti puntano il dito contro il premier, che rifiuta di dimettersi, pur avendo il Paese contro ed una situazione socio-economica che pare senza vie d’uscita.

L’unica soluzione potrebbe essere un accordo nazionale per un governo provvisorio di tutti i partiti sotto il patrocinio del presidente della Corte Suprema, in attesa di elezioni da convocarsi al più presto. Tuttavia, Rajapaksa sembra non volerne sapere di fare un passo indietro.

Anche i leader dei quattro principali gruppi buddisti dello Sri Lanka – monaci che hanno una forte autorità morale sull’opinione pubblica – hanno scritto al presidente della repubblica e presentato sei proposte per risolvere la crisi economica, che comprendono lo scioglimento del governo e la formazione di un esecutivo provvisorio.

Intanto continuano le proteste pubbliche in diverse parti del Paese a cui partecipano grandi gruppi di persone tra cui professionisti, artisti e studenti. E si comincia a morire. Il 18 aprile uno studente è stato ucciso dai poliziotti che hanno aperto il fuoco contro i dimostranti.

Ma nessuno ha il tempo di pensare allo Sri Lanka. Gli occhi del mondo sono puntati su Russia e Ucraina, dove la guerra significa gas, petrolio e pericolo nucleare.

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