Crisi iraniana nuovi equilibri?
Si susseguono incontri e riunioni di alto livello, ma il rischio del programma di arricchimento nucleare non negoziato del governo di Teheran è lontano da una soluzione immediata. Alla generale condivisione degli Stati membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu di imporre all’Iran il rispetto della non proliferazione per fini militari, non corrisponde però l’unanime consenso su una decisione che preveda il ricorso a misure coercitive: l’uso della forza esercitato attraverso un embargo o addirittura mediante azioni militari. Divergono le posizioni, con la forte pressione degli Usa, la resistenza di Russia e Cina e la posizione di mediazione assunta dall’Europa con Francia, Germania e Regno Unito riuniti per l’occasione nel gruppo EU+3. L’Iran, reclamando un diritto al nucleare, è sempre più orientato a non consentire i controlli da parte dell’Aiea, radicalizzando lo scontro con gli Usa (e non solo…). A poco è servita la lettera del presidente Ahmadinejad inviata a sorpresa al presidente Bush. Ufficialmente ignorata, ha però dimostrato la necessità dei due Stati di relazionarsi… anche in assenza, da 27 anni, di rapporti diplomatici. Al momento gli Usa restano dell’idea di negoziare ad oltranza, frenando così le spinte per un intervento militare. Opzione che significherebbe colpire circa 400 obiettivi, con un impegno notevole e con il ricorso ad armi nucleari (quelle tattiche di nuova generazione), considerando che le sperimentazioni iraniane avvengono nel sottosuolo. Attesa, dunque? Tutt’altro. Se la trattativa in ambito Onu – definita la più accreditata per gestire la crisi – appare marginale, grande importanza ha l’inserimento dell’Iran nella Shanghai Cooperation Organization, un’istituzione intergovernativa che riflette la strategia militare ed economica dell’asse Russia-Cina, affiancato da Stati dell’Asia ex-sovietica. Ecco la novità. Gli interessi iraniani che si spostano oltre l’area del Golfo e del mondo islamico mediorientale, per collocarsi nel più ampio contesto geopolitico asiatico, emergente e competitivo con l’Occidente: le risorse energetiche (e i loro prezzi), il possesso di armi nucleari (ben oltre la non proliferazione), un Islam in espansione (in zone già dominate dall’ateismo). Questo forse spiega perché sul nucleare iraniano sembra riaffacciarsi la deterrenza, quel timore reciproco caro alla guerra fredda e in questo caso capace di far convivere gli interessi nucleari presenti nell’intera regione mediorientale. Solo nuovi equilibri, allora? Eppure il mondo attende segnali di pace.