Crisi di coppia in un palazzo residenziale
Commedia e dramma insieme, con atmosfere da thriller. Contiene più elementi di lettura Nerium park del catalano Josep Maria Miró, una mistura drammaturgica intrigante che tiene alta la tensione. Dentro una sapiente scrittura lineare, a quadri, e con due soli interpreti, continuamente oscillante tra il surreale e il naturalismo, che tratta di temi sociali e di dinamiche famigliari, di speculazioni immobiliari, disoccupazione, insicurezza maschile, Mirò apre squarci insospettati di quotidiana ordinaria follia. Lo fa intuire subito l’inizio del dialogo tra la coppia quando, guardando dalla finestra, la moglie indica al marito di aver visto qualcosa o qualcuno muoversi nel distante palazzo di fronte. Anche se si minimizza l’accaduto, rimane la sospensione e il mistero se c’era veramente qualcosa o qualcuno lì fuori. Succederà anche all’uomo, di ritorno in macchina dal lavoro, l’impressione – per lui certezza – di aver visto comparire e scomparire una persona da dietro un cespuglio.
Il titolo della pièce si riferisce ad una pianta, il Nerium Oleander, coltivata come arbusto ornamentale, ma tossica. E forse sono i suoi effetti nell’aria a contaminare inconsapevolmente la vita serena della giovane coppia la cui parabola è raccontata nell’arco di un anno, dal momento in cui si trasferisce in un bell’appartamento periferico alla grande città, un complesso di palazzi di recente costruzione con piscina e, attorno, il parco del titolo dagli alti oleandri. In realtà, quel quartiere residenziale, simbolo di un benessere e di uno status sociale, destinato presto a essere abitato, si rivelerà una prigione solitaria. I due, Marta e Bruno, scopriranno, infatti, che sono gli unici a viverci. Quella condizione d’isolamento, unita a una crisi sociale ed esistenziale latente, poi manifesta; ad aspettative di felicità anche per l’attesa di un bimbo prossimo a nascere, e riposte nella sensazione di sicurezza che il nuovo habitat avrebbe loro dato; contagiata da una crescente sensazione di minaccia proveniente dall’esterno da una figura ignota, tutto questo sgretolerà man mano il loro rapporto.
C’è, in un dialogo iniziale, una frase che lascia presagire gli eventi futuri: «Dicono che le cose più stressanti della vita – riferisce la moglie – sono traslocare, rompere una relazione e cambiare lavoro». Ed è quello che si verificherà. Iniziale fattore scatenante del loro crollo è la notizia del licenziamento di Bruno, tecnico specializzato di un’azienda, mentre Marta, responsabile della sezione risorse umane, chiamata successivamente a decidere chi licenziare dalla sua azienda anch’essa in crisi, rimane l’unica a lavorare. Ad aggiungere inquietudine e a destabilizzare il loro già precario rapporto innescando una catena di piccoli eventi, è la comparsa di una terza figura, un personaggio misterioso che non compare mai, e che solo il marito vede e frequenta. Sarà reale o inventato? Frutto della sua immaginazione scaturito dalla frustrazione e dal senso d’inadeguatezza per il difficile momento che vive? Le cause possono essere una o più. Non lo sapremo, e non sveleremo il finale peraltro spiazzante per l’aggiungersi di altre circostanze. Il testo lascia aperte diverse interpretazioni, e rimane allo spettatore cercare di chiarire il mistero sollevato.
Tradotto da Angelo Savelli, il testo del pluripremiato Joseph Maria Miró, acclamato in tutto il mondo, da Buenos Aires ad Avignone, è diventato uno spettacolo anche italiano grazie a Mario Gelardi che ne ha fatto la prima produzione autonoma del Nuovo Teatro Sanità di Napoli. «Ho lavorato sull’attesa che la vita cambi – spiega il regista –, che la persona amata torni a casa, l’attesa di un lavoro e sull’attesa regina: quella di un figlio. Dodici mesi e dodici inizi, come quadri e spaccati di vita, in un ambiente che, da elegantemente essenziale, diventa freddo e ostile, man mano che i suoi abitanti perdono l’amore. Ho cercato di trasporre in scena la progressiva perdita d’intimità, che corrisponde a un affondo sempre più diretto del pubblico nella vita privata della coppia». Una regia asciutta – nella semplice funzionale scena di un interno con solo un divano, un tavolo, e alcuni oggetti per le azioni quotidiane –, e due appropriati interpreti, Chiara Baffi e Alessandro Palladino. La loro recitazione gioca in sottigliezza nell’attraversare diversi stati emotivi con veridicità. Nel passare dall’amore alla paura, dalla complicità ai dubbi, rendono un graduale senso di ultimi sopravvissuti della specie umana, manifestando credibilmente il progressivo malessere che li pervade. Quel malessere diffuso nella nostra società che, come scrive Xavier Alberti a proposito dei testi di Miró, «relativizza i nostri valori consolidati come comunità: il lavoro, l’amore, la paternità, la condizione ideologica, la conoscenza di sé e dell’altro, l’accettazione di sé e dell’altro».
“Nerium park”, di Josep Maria Miró, traduzione Angelo Savelli, regia Mario Gelardi, con Chiara Baffi e Alessandro Palladino, musiche Tommy Grieco, costumi Alessandra Gaudioso, scene Michele Lubrano Lavadera, luci Alessandro Messina. A Roma, Spazio Diamante, dal 21 al 24/3.