Crescono le tensioni fra governo e Chiesa
Nei giorni scorsi si è parlato della controversia esplosa riguardo ad una delle case tenute dalla suore di Madre Teresa dove nel giungo scorso la scomparsa di un bambino nato da pochi giorni ha dato adito ad accuse di traffico di neonati. È, senza dubbio, una questione grave su cui è necessario far luce, ma sta diventando un problema inquietante, non solo per l’atto che viene imputato alle religiose, ma anche perché esso ha offerto l’occasione al governo per ordinare una indagine nelle case gestite dalla congregazione delle Missionarie della Carità, in tutta l’India, dove ci siano progetti per la cura di minori e, soprattutto, di neonati.
Negli ultimi giorni, a questa presa di posizione del governo si è aggiunta una nuova proposta che ha suscitato le reazioni della Chiesa cattolica con un comunicato ufficiale del Cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci). Si tratta di una iniziativa della Commissione nazionale per le donne che ha presentato al governo centrale la proposta di abolizione del sacramento della Confessione in tutto il Paese. Il tutto è stato motivato da casi di molestie sessuali e ricatti da parte di alcuni membri del clero cattolico nei confronti delle donne. Fra questi ha fatto molto scalpore il caso di mons. Franco Mulakkal, vescovo di Jalandhar (Punjab), accusato di aver violentato una suora in Kerala tra il 2014 e il 2016. Negli ultimi giorni si è aggiunto un secondo caso che riguarda quattro sacerdoti della Chiesa siro-malankarese in Kerala che avrebbero molestato e ricattato una loro parrocchiana.
Si tratta di accuse gravi ed è bene che si faccia chiarezza su eventuali responsabilità sia da parte del vescovo che dei sacerdoti. Ma la richiesta di abolire la confessione in tutto il Paese ha significato una vera politicizzazione dei casi. Il Card. Gracias ha reagito con forza, dichiarando di “essere rimasto scioccato” alla lettura della notizia. «Questa richiesta – ha affermato in una dichiarazione ufficiale l’arcivescovo di Bombay – tradisce una totale mancanza di comprensione da parte della Commissione sulla natura, significato, sacralità e importanza di questo sacramento per il nostro popolo; allo stesso tempo ignora le rigide leggi della Chiesa in tema di prevenzione degli abusi».
I casi sono sotto la lente di ingrandimento delle autorità competenti e, per ora, si può solo affermare che nel caso del vescovo esistono sospetti che la suora abbia agito per vendetta personale, mentre su quello dei sacerdoti del Kerala l’inchiesta è in corso e due sacerdoti sono liberi su cauzione. La legge, dunque, sta facendo il suo corso. Il Card. Gracias ha, tuttavia, tenuto a precisare con forza e chiarezza che una decisione come quella proposta dalla Commissione per le donne rappresenta «una diretta violazione della nostra libertà religiosa garantita dalla Costituzione indiana. Milioni di persone in tutto il mondo nel corso dei secoli hanno dato testimonianza dei benefici spirituali di questo sacramento e della grazia, perdono e pace che essi sperimentano come risultato ricevuto da questo sacramento». Il presidente della Conferenza episcopale che raccoglie quasi duecento vescovi dei tre riti (latino, siro-malabarese e siroalankarese) esistenti in India si è comunque, dichiarato «fiducioso del fatto che il governo ignorerà del tutto questa assurda richiesta della Commissione». Il cardinale ha, inoltre, precisato che «la Chiesa desidera promuovere ancora di più lo sviluppo delle donne nella società ed è pronta a collaborare con la Commissione nazionale femminile su questo, così come fa con altre agenzie».
Come, accennato, la questione si è aggiunta a quella della comunità delle Suore di Madre Teresa a Ranchi nello Stato del Jarkhand e del conseguente irrigidimento dei controlli del governo sulle ong cattoliche. Proprio di fronte a questa situazione, i vescovi cattolici dello Stato indiano del Jarkhand, che rappresentano una comunità cattolica nata negli ultimi 120 anni ed oggi in sviluppo e particolarmente vivace, hanno presentato un memorandum al governatore Droupadi Murmu. I vescovi lamentano che dopo l’avvio dell’inchiesta su tutte le strutture delle Missionarie della Carità a causa del caso di cui abbiamo parlato, le indagini si sono allargate a tutte le associazioni cristiane. Pare che esse siano diventate bersaglio di discriminazione – è questa la denuncia che si legge nel documento – «solo perché cristiane». Il Consiglio dei vescovi dello Stato (Jharkhand Bishops’ Council) guidata dal card. Telesphore P. Toppo, arcivescovo emerito di Ranchi accusa il Dipartimento d’indagine criminale (Cid) della polizia indiana di «sottoporre le Ong cristiane ad attacchi violenti e false accuse». Tutte le associazioni cattoliche, infatti, «sono registrate il base al Foreign Contribution (Regulation) Act (Fcra) [legge che regola l’accettazione e l’utilizzo di fondi stranieri, ndr] e hanno sottoposto il loro bilancio al Ministero federale dell’interno, presentando le ricevute fiscali richieste». I vescovi, denunciano che «queste Ong vengono colpite solo perché cristiane: tutto questo è ingiusto, fazioso, illegale e contro la giustizia. Chiediamo a sua Eccellenza – si legge nel testo – che faccia in modo che la nostra comunità amante della pace, sempre al servizio della popolazione, della nazione e dei poveri, possa portare avanti il proprio lavoro senza alcuna forma d’intimidazione».
Un intervento chiaro e preciso, quindi, quello dell’episcopato del Jarkhand, ulteriormente circostanziato dalle parole di mons. Theodore Mascarenhas, segretario generale della Conferenza episcopale (Cbci) e segretario anche del Consiglio regionale dei vescovi del Jharkhand. Il giovane vescovo, per anni collaboratore del Pontificio consiglio per la Cultura a Roma, ha dichiarato che una stretta simile sui fondi provenienti dall’estero avrebbe un’unica spiegazione: «Forse il governo statale vuole trovare prove che i funzionari dei gruppi cristiani sono terroristi? Ma le organizzazioni cristiane non sono le uniche a ricevere soldi dall’estero. Perché allora le altre ong sono state risparmiate dai controlli che quelle cattoliche devono subire?».
In effetti, queste due ultime vicende, che hanno visto circostanze senza dubbio dolorose colpire la Chiesa cattolica in India, riportano alla ribalta la questione del processo di progressiva induizzazione che l’attuale governo Modi sta realizzando in modo silenzioso ma costante. Fino ad oggi, come mi confermavano alcune personalità del mondo cattolico dell’India, non c’erano state mosse dirette verso la Chiesa, a parte sporadici attacchi circoscritti localmente e, spesso, di natura criminale più che di intolleranza religiosa. C’era, tuttavia, un crescente ‘feeling’ di insicurezza per le minoranze religiose che vivono nel Paese. Oggi questi avvenimenti, sia pure motivati da eventi che devono essere appurati per vie giudiziarie, sembrano aver offerto lo spunto al governo e alla sua burocrazia, anch’essa progressivamente ed attentamente formata all’idea dell’Hindutva (l’India è il Paese degli indù), per passare ad azioni più concrete nei confronti della Chiesa. Ovviamente, si tratta di processi lunghi, ma queste situazioni, oltre al dolore provocato nella comunità, cristiana hanno presentato, sembra, una chiave di volta per il rapporto fra il fondamentalismo indù e la minoranza cristiana. Esiste una preoccupazione che si sta diffondendo. Sebbene i cristiani ed i cattolici in India rappresentino solo il 2% della popolazione, la Chiesa indiana ha una presenza in campo educativo ed assistenziale che tutti le riconoscono. È una testimonianza forte, ma anche vista, dal fondamentalismo indù, come potenziale via di conversioni. Per questo vari Stati all’interno del Paese hanno varato, in questi anni, delle leggi che rendono la conversione un atto illegale.