Credibile e impotente
La credibilità è stata la caratteristica che per prima è saltata agli occhi al momento della nomina. Credibilità di fronte a quanti al di fuori delle nostre frontiere guardavano con preoccupazione a quanto accadeva nel nostro Paese: istituzioni europee, governi dei paesi partner nell’Unione, finanza internazionale… Da qui il credito che ci è stato accordato nelle negoziazioni per definire il futuro dell’Unione Europea, in cui il nostro Paese ha ripreso un ruolo significativo, e nei mercati finanziari (è di mercoledì la notizia che i tassi sui buoni del tesori quinquennali sono ai minimi degli ultimi quattro anni). Ma credibilità anche agli occhi degli italiani, che anche per questo hanno accettato una riforma pensionistica di forte impatto sulle prospettive delle generazioni più giovani, anche se necessariamente con un costo per quelle prossime al pensionamento.
La seconda caratteristica che è apparsa chiara più volte è l’impotenza. Non è certo questo il primo governo a soffrirne, ma forse proprio il fatto che il governo fosse ben distinto dai partiti della maggioranza che lo sostiene ha reso evidente il divario tra aspirazioni e realizzazioni. Un esempio è la riduzione dei privilegi (a cominciare dai trattamenti pensionistici degli eletti, dalle auto blu,…): è vero che per la prima volta da molti anni qualcosa è stato tagliato, ma buona parte del Parlamento ha impugnato con decisione la leva del freno a mano, con il risultato di attenuare o posticipare i tagli. Ma anche al di là della cosiddetta "casta" non si è visto uno sforzo sufficiente per accollare i costi prima di tutto a chi ha margini più ampi per assorbire i colpi della crisi, ma al tempo stesso ha più capacità di influenza per spostare altrove il carico dei sacrifici. Un altro esempio è la riforma Fornero, che a forza di trattative e di modifiche, non è riuscita a imprimere alla nostra legislazione sul lavoro un indirizzo coerente e snello.
Un’altra manifestazione di impotenza è stato il mancato sblocco dei pagamenti dovuti ai creditori della pubblica amministrazione, qualcosa di non lontano dai 100 miliardi, che pesa come un macigno sulla sopravvivenza di moltissime imprese. Qui il vincolo non veniva dal Parlamento, ma dagli equilibri di finanza pubblica: una maggiore lungimiranza delle istituzioni internazionali e dei nostri partner europei avrebbe potuto consentire un’eccezione che avrebbe ridato subito fiato alla nostra economia più di tante pur necessarie politiche di rilancio.
Tra poco il calendario elettorale suonerà la fine della legislatura e quindi anche di questo governo. Penso che un giudizio equilibrato debba mettere più peso sul piatto dei suoi meriti che su quello dei suoi demeriti.