Covid, l’America Latina e la mancata gestione dell’emergenza
Mentre in Europa si affronta la seconda ondata di Covid-19, nel continente sudamericano non si è ancora usciti dalla prima. Le stagioni dei due emisferi sono invertite e mentre gli europei si preparano ad affrontare un duro inverno che potrebbe comprendere anche strascichi economici importanti, per la necessità di nuove chiusure, in Sudamerica ci si avvia verso l’estate, ma senza aver ancora ridotto la curva dei contagi in modo drastico. Nella gran parte dei Paesi, si è fissi su un numero di positivi che non cala a livelli minori, né emerge una strategia che si centri sulla tracciabilità e possa anticipare il virus. In sostanza, la politica sanitaria continua ad agire per reazione.
In Brasile si sono già superati i 5 milioni e mezzo di positivi, e 160mila sono i morti. Le stranezze del presidente Jair Bolsonaro sono all’ordine del giorno; non ha promesso di sradicare il contagio, ma il comunismo. Suo figlio Eduardo ha appena presentato un progetto di legge per condannare membri e simpatizzanti di questo partito a una pena che va da 9 a 15 anni di carcere. Ma la questione sarebbe quella di rimettere in sesto il ministero della sanità finito in mano ai militari, abituati al “sissignore” più che al senso critico, con tutto quanto ne deriva in merito a proporre idee più creative.
Argentina e Colombia hanno superato il milione di casi, Perù e Messico sono prossimi a questi livelli. Ma se i primi tre Paesi registrano tra 31mila e 34mila decessi, in Messico siamo oltre i 91mila. Sebbene in Argentina si siano applicati ben sette mesi di lockdown, non sembra che le autorità sanitarie abbiano preso le redini della situazione. I tamponi continuano a limitarsi a 15mila/18mila al giorno, la metà di quanti se ne fanno in Cile, con la differenza che la popolazione argentina è più del doppio di quella dei vicini transandini. Dalla capitale cilena, Santiago, si continua a sostenere che la situazione è sotto controllo. Lo è forse a livello nazionale, ma quando si analizzano i dati regione per regione, ci vorranno molti mesi per sentirsi tranquilli.
Si sono ridotti i numeri dei contagi in Bolivia ed Ecuador, mentre sono ancora meno, tutto sommato, i casi a Cuba, Venezuela e Nicaragua, ma negli ultimi due casi non si è sicuri dell’affidabilità delle statistiche fornite. All’ultimo posto per contagi e per decessi c’è l’Uruguay, con circa 3.100 positivi e 68 morti. La solida struttura sanitaria pubblica uruguaiana ha consentito di affrontare senza troppi patemi la pandemia. Ma il governo annuncia che non si apriranno le frontiere questa estate. Ne risentirà certamente il turismo, ma il provvedimento potrebbe rivelarsi saggio e adeguato alla situazione.
I problemi attuali andrebbero affrontati in vista della realtà futura, ma sono ancora in pochi a chiedersi come si farà durante l’estate, e anche dopo, per evitare di ripetere gli errori commessi in Europa. L’Ordine dei medici del Cile avverte che non è tempo di trionfalismi, cogliendo negli annunci del governo una tendenza a valutare quantitativamente le cifre, effettivamente in calo, ma trascurando l’aspetto qualitativo. La bella stagione potrebbe spingere a un ottimismo poco cauto, favorendo l’insorgere di nuovi focolai dove si rallentano le misure sanitarie, i controlli e l’azione pedagogica di insistere nel mantenere il distanziamento sociale. Cosa succederà quando, dopo un anno intero di didattica a distanza, sarà quasi inevitabile tornare tra i banchi di scuola, ma senza le risorse necessarie per adattare aule con 40 alunni e oltre alle esigenze sanitarie?
Ancora assente una visione d’insieme tra i vari governi, da cui potrebbero emergere anche idee creative in merito alla necessaria ripresa economica. La tendenza è invece ancorata al “fai da te”, anche per le trincee politiche che si sono scavate con i recenti cambi di governo. Bolsonaro non ha apprezzato la vittoria della sinistra in Bolivia, in Cile il governo di destra sta ancora digerendo il referendum che ha indirizzato il Paese verso il varo di una nuova Costituzione, mentre sotto la cenere la brace della protesta è ancora viva. La sintonia con la vicina Argentina è ridotta a mera formalità e buona educazione. Mentre a Caracas, Maduro continuerà a occupare la poltrona presidenziale, saranno pochi coloro che vorranno scattarsi un selfie con lui. A Buenos Aires e a Lima si vive in stato semi-confusionale: in entrambi i Paesi la classe politica non riesce a visualizzare il bene comune in gioco e dedica ogni sforzo per conservare più che altro gli spazi di potere. Leadership se ci sei, batti un colpo.