Covid, aumentano i contagi

In crescita costante tutti gli indicatori della pandemia da Covid 19. Dati che mostrano per ora un incremento lineare. Eppure ci sono molti progressi nella sanità italiana.

Dopo alcune settimane di relativa calma, tornano a salire tutti gli indicatori della pandemia da Covid 19 nel nostro Paese; al netto dell’andamento altalenante, si incrementa decisamente anche su base settimanale l’incidenza dei casi, la percentuale di tamponi positivi sul totale, il numero di persone attualmente malate e di conseguenza il numero di ricoverati.

Dati che mostrano per ora un incremento lineare, con la grande incognita dell’effetto variante che però, con il consolidarsi delle evidenze disponibili sulla più diffusa e ormai emergente “variante inglese”, comporta un aumento di contagiosità ma non di gravità clinica della malattia.

Su media e social, il consueto coro di commenti, indiscrezioni e anticipazioni (tanto dettagliate quanto contraddittorie) sui prossimi provvedimenti che si preparano.

Un’espressione frequente è la metafora delle lancette dell’orologio che si muovono all’indietro, della lotta contro la malattia che subisce un rovesciamento di fronte; una disfatta che ci riporta all’inverno precedente o alla “seconda ondata”.

Esprimo di seguito alcune considerazioni contrarie a questo punto di vista, che trovo controproducente per la nostra capacità di reagire e andare invece avanti.

Inoltre, come provo a motivare, l’idea che le cose siano uguali a qualche settimana o mese fa è molto inesatta.

Il primo punto sono i molti progressi relativi all’organizzazione delle attività sanitarie, in termini sia di diagnosi precoce sia di trattamento. Questo sforzo, come ben spiegato nei diversi report dell’Istituto Superiore di Sanità, rende più gestibili i casi potenzialmente a rischio di complicazioni, riducendo anche l’impatto sulle risorse ospedaliere (oltre che il numero di coloro che subiscono danni gravi o muoiono per le conseguenze dell’infezione).

Dove ben organizzati, i meccanismi di integrazione fra ospedale e territorio riducono la durata della degenza e permettono la gestione domiciliare di terapie precoci (anche sperimentali) e della fase di convalescenza, liberando risorse ospedaliere per casi gravi e per altri percorsi assistenziali.

Il secondo punto cruciale sono le opzioni diagnostiche e la capacità di tracciamento: sebbene questo sia un punto sul quale si può ancora migliorare parecchio, esistono un’infinità di strumenti efficienti, che pochi mesi fa non c’erano, per migliorare accuratezza e rapidità del tracing. Uso massiccio e distribuito sul territorio di tamponi antigenici e test salivari (ancora in via di validazione), centralizzazione delle attività di identificazione dei contatti, semplificazione delle procedure di accesso ai referti da parte di cittadini, istituzioni e operatori sanitari: sono tutti strumenti di cui le Regioni si stanno dotando e sui quali si può contare per incrementare la nostra capacità di circoscrivere un virus che, indubbiamente, viaggia più veloce, ma non è certo irraggiungibile.

Il terzo punto a nostro vantaggio sono ovviamente i vaccini: districandosi fra le sciocchezze che abitualmente vengono diffuse su questo argomento, i dati di letteratura scientifica parlano chiaro. Dove la campagna vaccinale procede rapidamente e copre un numero significativo di persone, le curve di incidenza della malattia crollano.

Investimenti equi e massivi sulla produzione e approvvigionamento, semplificazione della burocrazia, gestione unitaria delle politiche di governance farmaceutica, snellimento delle procedure di somministrazione e di accesso alle prenotazioni delle dosi vaccinali sono la chiave per usare un’arma risolutiva, ma che richiede di essere manovrata in modo abile e deciso.

L’auspicato cambio di passo su questo tema non può essere solo logistico e politico: sono di zavorra e gravemente dannose le polemiche relative a organizzazione, accordi corporativi su compensi e risorse per contribuire ad una lotta nella quale invece, anche soltanto civicamente e deontologicamente, ciascuno è chiamato a fare la propria parte: senza tentennamenti, ricatti e strumentalizzazioni.

Agire con coraggio e determinazione sui punti di forza che abbiamo a disposizione permetterebbe di evitare la risposta stereotipata delle chiusure; i lockdown, sebbene abbiano la forza dell’estrema ratio nel ridurre la circolazione virale, provocano enormi danni in termini di welfare, benessere relazionale, disgregazione del tessuto sociale e perdita di opportunità di salute.

Abbiamo a disposizione strumenti per gestire le attività turistiche e produttive in sicurezza, (attività nelle quali, peraltro, sono stati fatti investimenti consistenti per adeguarsi ai protocolli sanitari validati). E lo stesso vale per quelle culturali, relazionali ed educative: un patrimonio di competenze, professionalità, relazioni e opportunità di crescita culturali che non possiamo permetterci di vivere solo ed esclusivamente “a distanza”.

Il tema della scuola è un terreno che non è nuovo a questo confronto: ogni volta che un pericolo minaccia la sicurezza di alunni e docenti, si parla dell’urgenza di “mettere in sicurezza” per prevenire la necessità di chiudere ogni volta che piove, tira vento o, purtroppo, capita di peggio.

Stavolta il mondo dell’educazione sembra aver trovato una spinta nuova; le scuole si sono adattate molto meglio di tanti altri settori alle misure di distanziamento e all’uso dei DPI, accolti con serietà e pazienza anche fra i più piccoli. Gli insegnanti hanno aderito alle campagne vaccinali e i ragazzi alle (ancora troppo poche!) esperienza pilota di testing, che certificano fra l’altro la scarsa circolazione del virus fra alunni e docenti.

Poco è stato però fatto per cambiare il problema di fondo: la nostra scarsa confidenza con la cultura della sicurezza, del rispetto delle regole, del senso civico che porta ad aderire, con convinzione, a comportamenti corretti individuali, per la sicurezza di tutti.

I tempi di crisi sono un frutto amaro, ma hanno all’interno un seme di opportunità.

Sulla spinta della tragedia che ha colpito il mondo, sono state create soluzioni tecniche e modelli organizzativi che possono aiutarci non solo a combattere la pandemia, ma anche a migliorare le condizioni della nostra società.

Rinunciare a compiere ogni sforzo per sfruttarli al massimo, limitandosi ai soli provvedimenti restrittivi (salvo ovviamente dove non siano oggettivamente indispensabili) assomiglia all’atteggiamento di uno sventurato che, caduto in un fiume, rimane inchiodato ad un tronco di legno galleggiante, anziché rischiare di raggiungere a nuoto la riva, quando finalmente la vede vicina.

Ci meritiamo tutti di meglio: il coraggio di rendere il mondo post-COVID un posto migliore e di usare gli strumenti che noi stessi abbiamo creato per costruire una società diversa.

Magari nel prossimo futuro ad aumentare, invece dei casi, sarà il numero delle soluzioni per andare avanti.

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