Covid-19 e violenza sulle donne
Il lockdown causato dal coronavirus ha aumentato gli episodi di violenza sulle donne. Ne parliamo con Antonella Veltri, presidente di D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), associazione nazionale che riunisce 81 organizzazioni che gestiscono 111 centri antiviolenza, 90 case rifugio e 108 sportelli in 18 regioni.
Come è cambiato il vostro modo di lavorare con l’emergenza coronavirus?
I centri si sono organizzati subito con numeri telefonici di emergenza per lavorare da remoto e assicurare la giusta assistenza telefonica alle tante donne che continuano a contattarci in questo periodo. Sicuramente il lavoro è cambiato. All’inizio i telefoni non squillavano e solo dopo le nostre campagne in rete le donne hanno ricominciato a prendere coraggio e a chiedere aiuto. Inoltre, dopo il primo contatto telefonico, solitamente le donne vengono invitate a raggiungere le nostre sedi per iniziare la costruzione di un percorso di uscita dalla violenza e, se vogliono, di un percorso legale. In questo momento così delicato tutto questo avviene da remoto grazie all’incessante lavoro delle operatrici di accoglienza, ma manca il rapporto fisico e di empatia che si crea con l’incontro.
Aumenta la violenza ma diminuiscono le “nuove” richieste di aiuto?
Dal 2 marzo al 5 aprile 2020 i centri antiviolenza D.i.Re sono stati contattati da 2.867 donne. L’incremento delle richieste di supporto, rispetto alla media mensile registrata con l’ultimo rilevamento statistico del 2018, è stato del 74,5%. Un grido di allarme che dimostra quanto la convivenza forzata abbia aumentato le violenze domestiche e il bisogno di aiuto. Ma da questo dato bisogna partire anche per sottolineare un secondo aspetto fondamentale: se è vero che c’è stato un incremento significativo delle richieste di supporto da parte di donne che erano già seguite dai centri antiviolenza della rete D.i.Re, sono invece calate le richieste di aiuto da parte di donne che non si erano mai rivolte prima a un centro antiviolenza. Solo il 28% del totale, quando invece nel 2018 rappresentavano il 78% del totale delle donne accolte. Questo perché ci sono delle evidenti difficoltà per le donne in lockdown nel chiedere aiuto.
Cosa può fare una donna per mettersi in contatto con voi?
Abbiamo cercato di raggiungere più donne possibili attraverso i social e dare dei suggerimenti concreti su come e quando mettersi in contatto con noi. Bisogna approfittare di alcuni momenti, come quando si va a fare la spesa o in farmacia, quando si esce per buttare la spazzatura o si porta a spasso il cane, per contattare il centro antiviolenza più vicino. Nonostante le difficoltà, noi ci siamo e se c’è un’emergenza le nostre operatrici possono accogliere le donne fisicamente.
Un altro problema è quello delle case rifugio…
Al momento dello scoppio della pandemia per noi è sorto immediatamente il problema dell’accoglienza delle donne all’interno delle case rifugio. La maggior parte delle case a inizio marzo erano già piene, quindi il primo problema che si è presentato è stato quello del contagio. Inoltre, sono continuate le richieste di allontanamento dalle abitazioni e questo ci ha creato non pochi problemi di esposizione economica. Nella maggior parte dei casi, abbiamo dovuto provvedere in autonomia a mettere in sicurezza gli ambienti, le operatrici e gli ospiti e nel reperire alloggi di emergenza.
Quali aiuti avete ricevuto dal governo?
I fondi sbloccati dal Dipartimento delle Pari opportunità sono risorse ordinarie già destinate nel 2019 al Piano nazionale antiviolenza, che aspettiamo dall’anno scorso. Non si tratta del fondo straordinario richiesto e destinato ai centri antiviolenza per l’emergenza Covid 19. Le risorse inoltre sono gestite dalle Regioni e questo significa che alcuni dei centri della rete D.i.Re non otterranno tali fondi. In tutto ciò abbiamo dovuto coprire diverse spese e i soldi ancora non sono arrivati. Per i fondi previsti invece dal Decreto Cura Italia, il Dipartimento per le Pari opportunità ha pubblicato un bando a cui possono accedere centri antiviolenza e case rifugio. Si tratta di risorse limitate e distribuite in misura sbilanciata. Ai centri antiviolenza andranno massimo 2.500 euro per struttura, 15 mila euro invece alle case rifugio; il problema è che sono i centri antiviolenza a sostenere le case rifugio e ad avere quindi le spese maggiori. Inoltre, non tutti hanno i requisiti imposti dalla convenzione di Istanbul e in questo modo si rischia solo di buttare soldi.
Cosa vi preoccupa di più del periodo post-coronavirus?
Che si continui a pensare che la violenza sulle donne è un problema straordinario ed emergenziale. La violenza sulle donne è un problema strutturale. La fase 2 dovrebbe nascere con un approccio di sistema diverso alla violenza, quello che dobbiamo pretendere è che i saperi e le esperienze delle donne siano una parte fondante dei processi dell’Italia post-Covid. La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani e bisogna ripartire da questa consapevolezza, altrimenti tutto questo non sarà servito e un nuovo virus potrà colpirci ancora più forte.