Covid 19, ci aspetta un inverno difficile

Le vaccinazioni contro il Covid 19 procedono, ma le misure di sicurezza non possono essere ridotte: il pericolo che si intasino di nuovo gli ospedali, con alti costi in termine di salute e vite umane, è sempre presente.
Sicilia Cure Covid Foto Francesco Militello Mirto/LaPresse

È passato un anno dall’11 gennaio 2020, quando le autorità cinesi hanno ammesso per la prima volta l’esistenza di una vittima di Covid nel Paese; due mesi dopo, l’11 marzo, l’OMS dichiarava l’infezione da Sars-Cov-2 una pandemia e una minaccia globale per la salute pubblica. In questo periodo di tempo sono accaduti sconvolgimenti, lutti e sofferenze che segneranno il mondo e il suo cammino per gli anni a venire.

Non è improbabile che gli effetti, diretti o indiretti, dell’epidemia condizioneranno l’evoluzione della civiltà umana nei prossimi decenni, contribuendo a profonde trasformazioni nei valori e dell’ordinamento delle società di tutti i Paesi. In questa fase di transizione è ovviamente molto difficile intravvedere l’andamento generale delle cose: i cambiamenti di portata storica si intuiscono nel presente, ma si comprendono spesso a distanza di decenni.

Di certo, per la prima volta nella storia c’è un vaccino sviluppato in meno di un anno dalla comparsa del patogeno. La ricerca scientifica e farmaceutica ha dispiegato un impressionante potenziale produttivo, adeguando le biotecnologie più evolute alla produzione di vaccini innovativi, in grado di adattarsi con facilità alle eventuali mutazioni virali.

La campagna di immunizzazione della popolazione – qui è possibile visualizzare l’andamento delle vaccinazioni – è iniziata con successo anche nel nostro Paese e procede con un buon ritmo: le prime indicazioni in merito al profilo di sicurezza sembrano confermare quanto dichiarato negli studi di fase III, contribuendo, si spera, a ridurre timori e resistenze che (complici anche tante strumentalizzazioni e ciniche manipolazioni mediatiche) non aiutano certo a uscire dalla crisi. È importante conservare un atteggiamento lucido, senza perdere di vista i rischi di questo lungo inverno che ci aspetta.

Il vaccino offre protezione collettiva riducendo la circolazione del virus perché diminuisce la possibilità che un soggetto contagioso ne incontri uno suscettibile: perché questo abbia un impatto nella progressione dell’epidemia serve un minimo di individui immunizzati, che prende il nome di soglia critica per l’immunità di gregge. Ciò dipende dalle caratteristiche del patogeno e, nel caso del Sars-Cov-2, si può solo stimare: anche perché la diffusione di varianti più contagiose, derivanti dalle frequenti mutazioni del germe, possono portare ad un effetto al rialzo.

I dati della diffusione della malattia nel Paese indicano una situazione di equilibrio instabile molto insidiosa: per effetto dei primi provvedimenti, dalla seconda quindicina di novembre il picco di casi e ricoveri si è ridotto di circa il 30%, passando da oltre 38.000 ricoverati e 800.000 positivi del “secondo picco” ad un “plateau” stabile intorno a, rispettivamente, 25.000 e 550.000 persone.

Nello stesso modo il trend dei nuovi casi quotidiani è calato da oltre 30.000 per stabilizzarsi intorno a 15.000.

Questi numeri, uniti ad un tasso di positività dei tamponi effettuati in crescita verso il 15%, non lasciano per niente tranquilli: anzitutto sappiamo già che il sistema di tracing è messo fortemente in difficoltà da una circolazione virale tanto ampia (come testimonia, appunto, il rapporto casi/tamponi); inoltre, l’elevata prevalenza di malati in una popolazione ancora in larga parte suscettibile può far esplodere nuovi focolai e impennare il numero di casi e ricoveri nel giro di una manciata di giorni.

Se questo dovesse accadere (ed è piuttosto difficile evitarlo) i servizi sanitari, già impegnati per i ricoveri Covid al 30-40% delle loro capacità, si troverebbero nuovamente costretti a ridurre o interrompere attività di prevenzione, diagnosi precoce e cura di altre patologie, con effetti molto gravi sulla salute. Senza parlare del costo diretto in sofferenze, salute e numero di vite umane perdute: abbiamo ormai ben imparato a contare i nostri morti e ad ammettere che la malattia non è davvero “poco più di una forte influenza”.

Dunque è cruciale, per la tenuta del nostro sistema sanitario, mantenere dritta la barra dei comportamenti individuali, del buon senso e della responsabilità, mentre aspettiamo con fondata speranza tempi migliori.

In questi frangenti, molti si interrogano sulle conseguenze sociali di quanto sta avvenendo in tutto il mondo. Ancora una volta le epidemie (come le guerre e le carestie) rimettono l’umanità davanti alla consapevolezza della fragilità dei sistemi sociali, e ci spingono a riflettere su quanto sia pericoloso giocare con le nostre reti di protezione: scelte di wellfare, politiche di farmaco-economia, strategie di sostegno alla marginalità e tutela degli asset socio sanitari sono temi che, alla luce della pandemia, dovrebbero assumere ben altra rilevanza nell’agenda politica internazionale. 

Ma non è solo questione di trovare, anche in questo contesto, le strategie ottimali per bilanciare salute e tutela occupazionale; c’è una dimensione etica e morale che emerge con forza in tutte le società di stampo liberale nell’anno appena trascorso: la difficoltà con la quale i singoli accettano i sacrifici necessari a tutelare la collettività e le persone più fragili. 

Dall’enormità di quanto avvenuto negli Usa, al dilagare in molti Paesi d’Europa di una crescente insofferenza alle limitazioni necessarie a garantire una società pluralista e tollerante: la sfida del Covid rimette in discussione sistemi di valori che credevamo al sicuro, come un patrimonio immutabile e sacro. Una volta sconfitto il virus, ci troveremo davanti una sfida più difficile: il nostro rapporto con la libertà dell’individuo, che sembra non voler più finire dove inizia quella degli altri.

 

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