Covid 19 in Asia, i poveri hanno fame!

In mezzo alla tsunami di notizie sul covid 19, forse ci siamo dimenticati dei “danni collaterali” che questa pandemia sta provocando, altrettanto e più drammatici. Parlo dei miseri. Dal Myanmar, al Laos, dalle Filippine all’Indonesia, Cambogia e Thailandia, la situazione sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più difficile per le classi deboli
AP Photo/Thein Zaw

Stamattina uscendo per la strada a Bangkok, all’imbocco della baraccopoli vicino a casa, ho notato facce tirate, molto preoccupate. La signora che vende il caffè la mattina ai lavoratori, non riesce a vendere più le 60 tazze mattutine che le davano un po’ di guadagno per i suoi figli.

Poi il tassista- motociclista che conosco da lustri e che trasporta da un capo all’altro della strada, mi dice: «Certo che ho paura e non vorremmo rischiare di prendere il virus con i passeggeri, ma se non lavoriamo, cosa diamo da mangiare alle nostre famiglie?». Eh già: come si dice da queste parti, «quello che guadagni la mattina, lo mangi alla sera». Tutti i giorni, per 12 ore, a 34 gradi. Per non parlare dei debiti per pagare il baracchino del caffè o la moto: gli usurai prendono il 20% al mese. «Se il governo non interverrà a brevissimo per questa gente, per centinaia di migliaia di persone, sarà la fame», mi dice un medico vicino di casa, ormai in pensione.

Insomma, è già dura per tanta gente. «Signora, come va in questo periodo? Ha paura?», domando a una donna che guadagna pulendo nei palazzi gli appartamenti dei ricchi: «Non ho paura del virus, ma di non aver riso sufficiente da mettere in tavola per mia mamma e i miei figli. Il lavoro è calato e i ricchi non mi chiamano più».

Dal Myanmar, al Laos, dalle Filippine all’Indonesia, Cambogia e Thailandia, la situazione sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più difficile per le classi deboli, per coloro che in banca non hanno nemmeno 100 dollari: 100 dollari che comunque apparterrebbero a chi gli ha prestato soldi anni addietro! In questo periodo di pandemia da virus e tsunami di notizie ansiogene, loro, i poveri, stanno male: peggio di noi mi sembra.

Nessuno dei poveri che conosco ha una malattia dichiarata: magari hanno la tubercolosi, la scabbia, oppure il cancro, l’Hiv e sicuramente grossi problemi di malnutrizione, ma nessuno ha il Covid-19. I poveri non vanno in aereo per le spese a Hong Kong, non hanno soldi per il ristorante, per gli stadi di boxe (dove a Bangkok è scoppiata in questi giorni l’epidemia) e tanto meno per il cinema nei grandi magazzini.

I loro luoghi affollati sono in genere le baraccopoli, gli angoli delle strade dove vendevano i biglietti della lotteria: nelle baracche di Saigon o di Bangkok, come in quelle di Yangon o Jakarta, al massimo ci sono i topi e le malattie correlate, ma non il Covid-19.

È un mistero, ma la realtà, al momento è questa. Molti dei poveri che conosco a Saigon, vivono vendendo i biglietti della lotteria statale per la strada al prezzo di 40 centesimi di euro, guadagnando circa 4 centesimi a biglietto. E per comprare un piatto di riso, ne devono vendere almeno 35: senza contare gli altri piatti di riso per i familiari. I possibili clienti non si fermano più a comprare i biglietti, per paura di prendere il virus dai poveri, come se il solo fatto di essere povero sia sinonimo di Covid-19!

La gente, questa gente, inizia, dopo due mesi di semi chiusura dei locali notturni in Vietnam, ad avere fame: ogni locale notturno impiega, in queste megalopoli, molti “poveri” nei lavori duri. E con la chiusura delle scuole e l’impossibilità anche di uscire di casa, i figli dei poveri, che prima andavano a scuola e lì potevano avere almeno un pasto, oggi sono interamente sulle spalle delle famiglie, con grave peso su una economia già precaria.

 E questo significa una cosa sola: molte famiglie sono ridotte alla fame. Come la signora Vi, la mamma di 6 bambini abbandonata dal marito, che guadagnava lavando i piatti in casa dei ricchi, mi dice: «Hanno paura che io porti il virus e non mi chiamano più. Ed ora cosa mangiamo tutti e sette a casa ogni giorno, con le scuole chiuse?».

Due delle sue figlie, in depressione causata dall’abbandono del padre che non frattempo si è fatto una nuova famiglia, sono messe male. Il bimbo più piccolo, Bao, ha tre anni e inizia a essere depresso e a vivere quasi rinchiuso, in 7 persone, in una stanza di 3 metri per 3 e con poco cibo. E come questa famiglia, centinaia di migliaia di persone che si vedono sparire da sotto gli occhi i pochi spiccioli che guadagnavano ogni giorno per vivere. Le scene nei tuguri di Saigon sono a volte drammatiche: gente che si lascia andare se si ammala: sempre di più ci sono persone che rovistano nella spazzatura.

Alcuni, svenendo a terra, sperano di essere portati via, in ospedale, dove possano essere curati. Anche se poi, dai loro abiti, gli addetti capiscono subito che si tratta di “semplici poveri”! Nella regione, in tutto il sudest asiatico, ci sono anche autentici angeli che lavorano per loro, per i poveri, e sono promotori di molte iniziative caritative, efficaci ed interessanti. Inizia anche molta solidarietà da parte di famiglie, templi buddhisti e semplici persone singole. Il “sentire” commozione per folle di persone che non hanno da mangiare, non è prerogativa di nessuno, ma un sentimento che accomuna le persone che hanno uno spirito buono. Ci sono anche movimenti e case religiose che fanno poco o pochissimo, purtroppo, per i poveri: sono attanagliati dalla paura del virus!

 Un’operatrice sociale mi ha confidato in questi giorni: «Non dormo la notte perché penso ai poveri, a come poterli aiutare. Nessuno parla di loro nei giornali». Anche riuscire a fornire le mascherine a queste persone è molto importante: non hanno soldi per comprarle. Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam e Birmania: sono Paesi accomunati da una enorme quantità di poveri, di persone che appartengono a classi sociali molto vulnerabili al tipo di sconvolgimenti economici che stiamo affrontando. Noi ci lamentiamo anche per le difficoltà per il cambio di stile di vita: loro, per mancanza di cibo da dare ai proprio cari e per loro stessi. Chiedendo a un collega giornalista cosa pensasse sui poveri della sua zona, in Medio Oriente, mi ha inviato un sfilza di numeri raccapriccianti sulle guerre in corso, di morti che mi ha lasciato sconvolto: Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan, circa un milione di morti. E senza parlare dei feriti, mutilati, orfani. Tutto è relativo.

 Oggi ho ricevuto un breve e toccante video dove un gruppo di bambini di etnia karen, al confine col Myanmar, pregano per i loro donatori: in un momento di crisi, sono arrivati i soldi per dare loro 40, ben 5 giorni di pranzo alla settimana: una vera mamma dal cielo. Ogni giorno, prima di mangiare, s’inginocchiano e pregano per le famiglie italiane, svizzere e di tutto il mondo che hanno inviato il denaro per i loro pasti: affinché tutti siano al sicuro dal virus. Loro, i poveri pregano per noi. E come dice la Scrittura: «Dio ascolta il grido del povero». Quel grido di preghiera arriva ogni giorno al cielo, dove non si ricorda il nome del ricco Epulone che banchettava lautamente ogni giorno, ma dove sicuramente non si dimentica il nome di ogni Lazzaro che abita questa terra.

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