Covid 19, accesso alla cura e selezione dei pazienti

Il dilemma che si pone, davanti alla pandemia da Covid 19, nelle nostre società quando la valutazione dei rapporti costi/benefici è fatta considerando il bene presunto della società, piuttosto che della persona. La pandemia ha reso evidente l’attacco al diritto alla cura stabilito nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
Coronavirus Claudio Furlan - LaPresse

Sono ormai trascorsi 6 mesi dall’inizio della diffusione della malattia causata dal famigerato Covid 19, il virus che ci ha fatto scoprire tutti più fragili e vulnerabili, mettendo in evidenza spesso il meglio di noi nella cura e nella abnegazione degli operatori sanitari con turni massacranti nella ricerca spasmodica di soluzioni a problemi inediti che apparivano insormontabili.

Così come nei volontari che non si sono fermati mai e anzi hanno trovato nuove strategie per non far mancare aiuto e conforto a chi era rimasto isolato e solo; a volte purtroppo è venuto fuori il peggio di ciascuno di noi in alcune sprezzanti posizioni negazioniste, nell’irresponsabile violazione delle limitazioni, nelle discriminazioni in base all’appartenenza etnica che hanno trovato nuova miccia nella ricerca del possibile untore, come abbiamo visto nei fatti di Mondragone.

L’emergenza ha anche svelato molte verità in merito ai valori che sottostanno alle scelte private, ma, soprattutto pubbliche. Negli anni infatti, il miglioramento delle conoscenze scientifiche, lo sviluppo di nuove terapie che hanno ottimizzato alcuni approcci, ma anche la crisi economica che ormai attanaglia l’Occidente hanno indirizzato le politiche economiche e sanitarie dando un volto particolare alle nostre società super tecnologiche in cui purtroppo si registrano successi terapeutici insperati fino a qualche anno fa, ma dove si può morire per la mancanza di strumenti salvavita, del costo di poche centinaia di euro, perché la sanità pubblica è stata ridimensionata, il numero dei posti letto progressivamente diminuito e, in alcuni casi favorito lo sviluppo della Sanità privata.

Su uno degli ultimi numeri della Civiltà Cattolica, un’interessante riflessione in margine alla pandemia afferma che il Covid 19, fra le altre cose, «si presenta come un silenzioso rivelatore di molte realtà che spesso rimangono nascoste nella quotidianità dei sistemi economici, politici, sociali e culturali».

In Italia abbiamo sperimentato in parte la tragedia del trovarsi di fronte alla necessità di scegliere a chi attaccare il respiratore. Qualche testimonianza dei fortunati che sono stati rianimati c’è e chi è sopravvissuto ad un altro, escluso perché troppo vecchio o con meno possibilità di sopravvivenza non scorderà certo questa predilezione e sa che la sua vita è stata decisa non perché persona, ma definendo criteri di selezione delle persone in base alla loro futura produttività.

Fortunatamente, dopo il primo mese di disorientamento, l’aumento della produzione di questi presidi (anche attraverso la riconversione temporanea della produzione di alcune industrie), la disponibilità forse un po’ tardiva delle strutture private, la solidarietà interregionale e la diminuzione dei contagi hanno pian piano fatto rientrare l’emergenza.

Purtroppo lo stesso scenario si è riprodotto in tutti i Paesi in cui si è diffusa la malattia e in quelli in cui la sanità è per la maggior parte gestita dal privato e riservata a chi ha polizze sanitarie, il dilemma etico della scelta riguardo chi attaccare al respiratore è diventato realtà, tanto da spingere gli stati a stilare delle Linee Guida per i medici con indicazione di escludere pazienti disabili intellettivi, persone Down, malati di Parkinson o di Sla.

Canada e Stati Uniti vanno avanti in queste decisioni generando separazioni, definendo cittadini di serie A e altri di serie B, stabilendo che la malattia e la disabilità non sono motivo di maggiore attenzione e cura, piuttosto diventano causa di discriminazione perché troppo onerose per le casse dello Stato. Mentalità utilitaristica, selettiva, odiosamente discriminante.

In altri Paesi, come il Brasile, la mancanza colpevole di azioni concrete di contrasto al Covid, insieme ad un passato di discriminazioni e violazioni reiterate dei diritti, hanno portato all’aumento dei contagi nella popolazione totale e ad una percentuale di incidenza quasi doppia in alcune comunità particolari, come gli indios nell’Amazzonia, regolarmente indeboliti a causa dell’assedio predatorio di speculatori irresponsabili.

Quando le scelte politiche sono eterodirette dal mercato, il profitto prende il posto della persona; quando la valutazione dei rapporto costi/benefici è fatta considerando il bene presunto della società, piuttosto che del singolo, può accadere che vengano prese decisioni totalmente irrispettose della dignità umana e del diritto alla cura, che pure la dichiarazione dei diritti dell’uomo ha sancito ormai 80 anni fa.

Non sono queste le società in cui vogliamo vivere, ma l’emergenza Covid ce l’ha rivelate così. Occorre essere molto vigilanti.

Anche per questo l’Associazione Scienza e Vita, da ormai 15 anni attiva per la promozione di una cultura scientifica attenta ai principi della bioetica personalista, promuove un corso di formazione per tutti gli operatori sanitari che vogliano, attraverso la lente della bioetica, capire come modulare meglio il proprio intervento medico e/o di assistenza sanitaria dal titolo “Coronavirus problemi etici nella gestione di un’epidemia. Quando le risorse sono limitate chi curare?”

 

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