Costruttori di ponti
Una settimana di iniziative ha legato i cinque continenti osando lanciare sfide anche ai grandi del mondo. La più ardita: utilizzare il 10 per cento della spesa militare per progetti di sviluppo, come suggerito dall’Onu
«Anche se attorno si moltiplicano i contrasti noi dobbiamo costruire ponti, noi siamo esperti in questo perché dobbiamo costruirli con l’amore siamo esperti e i ponti che si costruiscono con l’amore restano». Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari, nella telefonata d’apertura della Settimana mondo unito 2010 aveva invitato i giovani presenti a Loppiano ad essere i primi operai di questa ingegneria nuova. Il primo maggio nella cittadella toscana in tremila hanno accettato la sfida, che nel corso della giornata si è tradotta in laboratori d’approfondimento e d’azione.
Costruire ponti con l’Africa è quello che ha fatto una scuola in Toscana nel suo recente viaggio a Fontem. I ponti attraversano l’etere e possono far incontrare le persone, creare luoghi di dibattito e di informazione, ma possono limitare la relazione e strumentalizzarla. E poi ancora quali i ponti da gettare per un’altra economia? Quelli per un dialogo fruttuoso tra le religioni? Questi sette giorni insomma sono stati un cantiere mondiale e il “più ardito dei sentieri pensati dall’uomo”, ha saputo congiungere sponde diverse come tra Ungheria e Slovacchia, attraversando il fiume che per secoli non ha diviso solo fisicamente i due Paesi, ma ha separato anche la gente. Un gesto simbolico? Non solo.
Le tante proposte di comunione e dialogo che si sono susseguite nel mondo traducendosi in azioni e impegno hanno indubbiamente legato giovani e città nel “progetto del mondo unito”, sogno di Chiara Lubich, accolto e perseguito con determinazione da questi giovani. La campagna “Arms down” è stato il cantiere internazionale che li ha impegnati in tutti i continenti. L’obiettivo: raccogliere 50 milioni di firme da consegnare al segretario generale delle Nazioni Unite, ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ai capi di Stato e ai membri dei Parlamenti dei vari Paesi, per chiedere che il 10 per cento della spesa utilizzata per spese militari sia utilizzato per attività di sviluppo, come previsto dall’Onu stessa in un documento sugli obiettivi del nuovo millennio.
I ponti, fantasiosamente realizzati, hanno osato sfidare l’indifferenza come in Argentina, dove performance teatrali ai semafori rossi hanno interrogato i passanti e gli automobilisti su stili di vita contrari alla convivenza civile e alla fraternità. Ponti sono stati gettati tra cristiani e musulmani in Algeria con un coro multi religioso. E poi ancora tornei sportivi, rally spericolati, serate sull’astronomia, festival musicali, azioni in ospedali e orfanotrofi: il materiale di questi progetti è stato il più vario.Numerose le raccolte di fondi e di beni che hanno avuto l’Africa come prima destinataria: «non per fare della beneficenza o dell’assistenza – come ricordava Chiara Lubich in un messaggio ai giovani brasiliani nel 1998– ma per sentire con l’altro, vivere l’altro, gli altri e puntare a rapporti di unità che hanno la loro radice nell’amore».
Tra le tante proposte visibili sul blog http://settimanamondounito2010.blogspot.com/, originale l’iniziativa proposta dai giovani di Roma: un laboratorio di comunicazione civica, in collaborazione con la rete di comunicatori NetOne che, durante l’anno, proporrà approfondimenti su temi legati alla notizia, ai giornali e alle visioni del mondo prospettate dai mass media. Questo primo appuntamento ha focalizzato l’attenzione sulla rappresentazione dell’altro nella notizia. L’altro può essere il vicino, lo straniero, l’avversario politico, il cittadino, la vittima di un terremoto o di una tragedia. Videoclip e interventi di giornalisti qualificati e volti noti della tv, hanno interloquito con la sala rispondendo a domande e interrogativi su un modo di far comunicazione spesso fuorviante o poco rispettoso della persona. Si è aperto coraggiosamente il sipario anche sulle notizie dimenticate che sono storie, vite, tragedie come quelle degli immigrati rispediti in Libia e che solo su un blog hanno trovato voce o quelle degli stranieri in Italia, sempre considerati di serie B, nonostante fotografino un Paese nei fatti multietnico, ma ancora dall’animo provinciale e impaurito.
In questa settimana, insomma, molti ponti sono stati gettati, tanti cantieri sono stati aperti, ma gli operai non vanno in vacanza: il mondo unito richiede sempre progetti innovativi e arruola nuove forze.