Costruire insieme coinvolgendo tutti
“Abbiamo peccato molto, rubato molto, mentito molto. Che Dio abbia pietà di noi e ci aiuti a cambiare”, affermò all’inizio dell’anno, nel bel mezzo della crisi, a nome di tutti gli argentini. Parole nette, inequivocabili. Tanto più pesanti perché pronunciate da un uomo mite e discreto come mons. Estanislao Karlic. Origini croate, 76 anni, arcivescovo di Paranà, 500 chilometri a nord di Buenos Aires, è da sei anni alla guida dei 107 vescovi della conferenza episcopale argentina. In seguito alla crisi economica e alla sfiducia nella classe politica è assurto, lui così schivo, quasi a garante degli impegni del paese verso la comunità interna e internazionale. In questa fase cruciale, la chiesa non si è tirata indietro e così tre vescovi sono impegnati a custodire il confronto nel paese. Abbiamo incontrato mons. Karlic a Roma, all’indomani della visita dei vescovi argentini dal papa. Mons. Karlic, il compito dei tre vescovi al Tavolo del dialogo si sta rivelando più arduo del previsto? “La Tavola del dialogo argentino si sta mostrando uno strumento valido ma decisamente arduo. Non c’era da aspettarsi un processo facile. Sapevamo di dover esigere atteggiamenti profondamente saggi e generosi, con grandi rinunce personali e istituzionali in vista del bene comune. “Le difficoltà, comunque, sono state affrontate con serietà. Questo ha permesso di conoscere meglio la gravità della crisi e ha favorito la ricerca di soluzioni dando la priorità alle esigenze etiche rispetto ai ragionamenti economici, sociali e politici”. La chiesa è stata invitata a porsi come testimone e garante del dialogo: cosa ne pensa adesso la popolazione? “Non mancano quelli che sono contrari alla presenza dei vescovi al dialogo. Alcuni perché non sanno che i presuli si siedono al Tavolo del dialogo soltanto per sollecitare una risposta morale autentica in vista del bene comune. Altri, invece, sono contrari, perché credono che i vescovi non riusciranno a farsi ascoltare e ad essere rispettati. “Ma la maggioranza del popolo guarda con rispetto e attenzione allo svolgimento del dialogo. Lo accetta come una garanzia valida per cercare con il concorso di molti settori della società, con più libertà e trasparenza, soluzioni migliori ai grandi problemi del paese. Stanno scoprendo la sana indipendenza dei vescovi che conservano la libertà di esprimere le esigenze dei princìpi morali nella vita della società, per il bene della persona, la cui dignità esige giustizia e solidarietà”. Cosa serve per far ritrovare alla gente fiducia nella classe dirigente? “La fiducia si acquista quando uno 14 ha amato per primo l’altro. I dirigenti ritroveranno la fiducia del popolo soltanto se la gente sperimenterà che sono animati da un autentico atteggiamento di servizio. Il servizio esige sapienza, amore e prudenza, spirito di sacrificio e magnanimità. Il dirigente deve servire la politica e il popolo e non servirsi della politica e del popolo. Nessuno è veramente servitore se non ama per primo l’altro come un buon fratello”. “È il momento di ricostruire il paese sulla fraternità”, avete indicato come episcopato argentino. Vede già segnali e iniziative di fraternità? “Il Signore ha mosso molta gente, nel nostro paese ed in altri, a compiere atti di solidarietà fraterna. Ed è molto bello vedere che si verifica soprattutto fra quelli che hanno di meno. Uno dei fenomeni singolari è lo scambio di beni e servizi che chiamano trueque, cioè baratto, senza la mediazione del denaro. Questa maniera semplice di solidarietà coinvolge migliaia di famiglie nel paese. “Tutto ci insegna, ancora una volta, che dobbiamo continuare a proclamare la fratellanza come l’unica relazione degna dell’uomo, figlio di Dio, con gli altri uomini. Non basta la giustizia. È necessaria l’amicizia sociale che si esprime nella solidarietà fraterna”. Che valutazione dà all’atteggiamento della comunità internazionale relativo alla crisi argentina? “Diversi istituzioni e governi dei paesi dell’America Latina e dell’Europa hanno manifestato la loro volontà di accompagnarci in queste circostanze. Però hanno posto determinate condizioni, in modo da aver garantita una certa sicurezza giuridica ed economica sinora disattesa. “D’altra parte, è molto importante per l’Argentina ricevere un trattamento senza discriminazioni per poter vendere i propri prodotti in un rapporto commerciale internazionale di vera e giusta uguaglianza. Se ciò avvenisse, i benefici ottenuti permetterebbero di far fronte agli impegni finanziari e di aprire nuove possibilità di sviluppo per il nostro popolo”. E le chiese? “È stata esemplare la reazione spontanea dei fedeli e della gerarchia della chiesa nei paesi che sono grandi amici dell’Argentina: Spagna, Italia, Germania e Svizzera. Hanno risposto con generosità ammirevole. In loro abbiamo visto i chiari segni della “globalizzazione della solidarietà”, secondo la bella espressione del papa”. Argentina: paese di grande tradizione cristiana, ma la politica non ne è stata permeata. Quale ruolo può giocare adesso il laicato cattolico? “C’è un grande vuoto nella conoscenza dei princìpi e delle norme della vita sociale e c’è la necessità di richiedere l’impegno morale per il bene comune da parte dei dirigenti e di tutto il popolo. Abbiamo bisogno di imparare che l’attività politica, come servizio del bene comune, è uno dei modi più vasti di esercitare la carità cristiana. La formazione e l’impegno politico dei laici è perciò una delle grandi sfide della chiesa in Argentina”. Come andrà a finire, mons. Karlic, la travagliata vicenda? “La prova tremenda di questa crisi economica, sociale, politica e – alla fine – morale è una grande occasione che ci è data per venire purificati e per crescere come individui e come nazione. Noi, tutti noi, abbiamo la responsabilità di cambiare l’orientamento della storia. Ma ci riusciremo se cammineremo insieme, senza fratture ed esclusioni, sulla strada dell’austerità e del sacrificio, del lavoro arduo e condiviso, della dignità e dell’uguaglianza, della speranza gioiosa e della pazienza umile e forte”.