Costruire il domani
L'idea e la figura di università ggi, alla luce del carisma dell'unità dell'esperienza in corso a Loppiano.
I “perché?” del nostro tempo sono incalzanti e radicali; i saperi spesso spezzettati e specializzati; la società multietnica e multiculturale; l’evoluzione tecnologica velocissima e continua. In questo contesto ha ancora qualcosa da dire l’università? E quali sono le basi da cui ripartire per una nuova fioritura in ascolto (e al servizio) dei segni dei tempi?
Il luogo
L’università è spazio di vita in cui le nuove generazioni possono attrezzarsi a diventare protagoniste, secondo le diverse competenze disciplinari, della costruzione del mondo di domani.
L’università, dunque, deve collocarsi in un luogo raccolto e insieme aperto, conviviale e insieme universale. Un luogo in cui le molteplici e differenziate relazioni che vi si sperimentano giorno dopo giorno abbiano il timbro della creatività e della gioia, dello sguardo sereno, consapevole e costruttivo di speranza verso il futuro. Per Chiara Lubich questo luogo ideale e realissimo è «il seno del Padre». Che cosa significa in concreto questa intuizione?
Significa – proverei a dirlo così – la vita condivisa che Gesù ci ha aperto nel dirci che siamo guardati, voluti, accolti ciascuno e tutti da un Dio che è amore e che, nell’esperienza esaltante che ci offre di sé, ci dà gli occhi, il cuore, la mente per guardarci gli uni gli altri, per leggere gli avvenimenti, il mondo e la storia con i suoi occhi, il suo cuore, la sua mente. Così che il luogo che prende forma dal soggetto comunitario che vive di queste relazioni, stando nel cuore di Dio, stia al tempo stesso nel cuore del mondo: e si apra in tutte le direzioni nella logica dell’incontro e dell’accoglienza.
Il luogo, che come grembo generoso e fecondo ha da ospitare l’idea di università nel suo farsi storia concreta, oggi deve dunque costituirsi – quasi per cerchi concentrici – a partire dalla comunità accademica, nel rapporto con la città che l’accoglie e con il territorio in cui s’inserisce, e come crocevia di scambio e dialogo senza frontiere. L’università diventa così una vera casa, una casa per tutti.
Il compito
Di qui si fa praticabile il compito immenso, eppure basilare e imprescindibile dell’università: insegnare – come ha detto Chiara Lubich – la sapienza. Ma che cos’è la sapienza?
Anche qui proverei a dire che essa è quello sguardo di verità e libertà su Dio, sull’uomo e sul mondo, sguardo che è uno essendo molteplice nelle sue espressioni, come molteplici sono le espressioni della vita, della persona, della comunità umana e del cosmo. Verità e libertà che, come sale, devono dar sapore ai saperi e alle arti e alle tecniche che la famiglia umana forgia e intraprende per realizzare, nel tempo e nel destino che gli dà respiro d’infinito, la compiuta manifestazione del “chi è” di ciascuno insieme con gli altri, nel mondo creato, in e con Dio.
Per questo, occorre offrire le opportunità per imparare insieme – nel dialogo con tutti – le forme nuove, impegnative e persino crocifiggenti in cui il sale della sapienza ha da dar sapore di verità, amore e bellezza ai saperi, alle arti, alle tecniche dell’uomo.
È su questa frontiera che la fede cristiana è chiamata a giocare – penso – una delle carte decisive del suo futuro insieme a quello dell’umanità: l’unità creativa e liberante delle scienze dell’uomo e della sapienza che viene da Dio così come si realizzano, in germe e inizio, nella mente di Gesù.
La via
Aristotele, nel libro della Metafisica, annota un fatto a tutta prima sorprendente: «È stata la verità stessa – parafraso il suo dire – ad aprirsi la strada verso l’uomo». Sì, è vero, siamo noi a dover cercare la via, a dover mettere a punto i metodi per raggiungere la verità nelle sue molteplici rifrazioni. Ma solo in seconda battuta: e cioè intraprendendo con decisione e metodo la via che la verità stessa si è aperta verso di noi. Non dice Gesù, in folgorante sintesi: «Io sono la via, la verità, la vita» (cf. Gv 14,6)? E non ne apre il significato spogliandosi realmente, nell’abbandono patito in croce, dell’infinita e divina ricchezza che ha ricevuto dal Padre, per farcene in pienezza tutti partecipi?
È questa – mi pare di poter dire – la prima e fondamentale “inversione metodologica” che ci viene così proposta per una nuova e incisiva espressione dell’idea di università nell’oggi della storia della verità che viene incontro agli uomini: il primato non della conquista ma dell’ascolto, non del voler possedere ma del saper accogliere.
Di qui una “seconda inversione metodologica” che è strettamente collegata alla prima: il primato non dell’individuo che cerca e vuole, nello spazio tutto sommato solo esteriore della comunità accademica, ma della persona che è e accoglie e cerca insieme: nell’interiorità allargata del dialogo interpersonale, interdisciplinare, interculturale. Non è proprio questa la via maestra dell’acquisizione della sapienza espressa dall’intuizione dell’universitas?
Queste due elementari ma decisive indicazioni di metodo mi pare traccino davanti a noi le direttrici di un percorso capace di portare a nuova fioritura l’albero antico e vigoroso dell’università.
Un evento e una nuova rivista accademica
Il 22 e 23 aprile 2009 si è svolto all’Istituto universitario Sophia, a Loppiano, il convegno “L’idea di Università” con interventi di mons. V. Zani, P. Siniscalco, E. Granata, L. Bruni, P. Coda e tutti i professori stabili dell’Istituto. Per i testi completi degli interventi vedi il n° 1 della nuova rivista accademica Sophia.