Così si uccidono anche i mercenari
Eugenij Prigozhin sembra sia morto a 150 chilometri a nord-ovest della capitale russa, su un campo agricolo non lontano dalla città di Tver: il condizionale è ancora d’obbligo, finché le autorità russe non forniranno il Dna delle 10 vittime, se mai lo faranno. La prudenza è d’obbligo, perché sia Prigozhin sia Putin sono da sempre molto abili nelle operazioni di disinformazione. E tuttavia le concordanti conferme provenienti da Mosca e dalla stessa compagnia Wagner sembrano voler dire che la fine di colui che è stato definito “il cuoco di Putin” è veramente arrivata al capolinea.
“Una vita spericolata”, quella di Prigozhin, “una vita come un romanzo da fumetto”. Si scusino queste ripetute citazioni delle arti visive e musicali popolari, ma se ne capisce il motivo scorrendo la biografia del defunto: come tanti dei personaggi della Russia degli ultimi 20 anni, Prigozhin ha raggiunto il suo potere grazie alla stretta collaborazione col presidente russo Putin. Prigozhin, come Vladimir Putin, ha origini umili. Nato come il presidente russo nel 1961, a San Pietroburgo, in gioventù trascorse alcuni anni in carcere per rapina. Uscito dal carcere nel 1990, Prigozhin si mise a vendere hot dog. Fece rapidamente carriera, e arrivò a gestire un gruppo di ristoranti di lusso a San Pietroburgo.
Lì incontrò l’allora vicesindaco Putin. Nei suoi locali, ospitò George W. Bush, Carlo d’Inghilterra, il primo ministro indiano Modi. Per questo divenne famoso come “il cuoco di Putin”. Ma differenziò rapidamente le proprie attività e nel 2014 fondò la brigata paramilitare privata Wagner, presente in numerosi conflitti nel mondo, per sostenere gli interessi nazionali russi. Ma commettendo una serie impressionante di violenze, torture, atrocità e crimini di guerra. Si è poi interessato di cyberwar, di guerra digitale: si dice sia stato lui ha contribuire coi suoi troll alla vittoria elettorale di Trump.
Poi l’Ucraina, e la battaglia per Bakhmut. Fino all’ultima guerra, il gruppo Wagner era composto da ex militari e poliziotti; ma poi Prigozhin ha cominciato ad arruolare prigionieri, promettendo che le pene sarebbero state cancellate se avessero trascorso un periodo di almeno sei mesi al fronte. 25 mila combattenti? Difficile saperlo. In Ucraina, comunque, c’è stata la svolta: Prigozhin si è sempre più implicato nel sistema mediatico, forse proprio da quando il suo rapporto esclusivo con il presidente Putin non funzionava più: i suoi attacchi contro i quadri dirigenti dell’esercito russo sono risultati sorprendenti agli occidentali, ma anche un segno della sua improvvisa debolezza. Fino al fallito golpe del 23 giugno.
Sembra, dunque, che con l’incidente aereo di Tver la scelta di campo di Putin si sia così completata, la scelta cioè a favore dell’apparato statale militare. Non a caso, forse per distogliere l’attenzione dal successo indiano sulla luna e dall’immediatamente precedente fallimento russo, è iniziata una controffensiva mediatica di Mosca, con la rivendicazione di successi militari nel Mar Nero, poi con la definitiva rimozione del generale Surovikin scomparso dai radar all’indomani del fallito golpe del 23 giugno, che aveva esplicitamente appoggiato, e infine con l’assai mediatizzato incendio dell’Embraer – che prontezza quella russa nel diffondere le immagini! – non lontano da una delle più note residenze di Putin, guarda caso difesa dalle batterie antiaeree più performanti esistenti in Russia. Quasi una firma del presidente sulla fine di Eugenij Prigozhin.
Conseguenze politiche e militari? La compagnia Wagner, attualmente dislocata in Bielorussia, ma con distaccamenti in Siria, in Sudan, in Niger, nella Repubblica Centrafricana e chissà ancora dove, rischia di dissolversi, visto che i suoi tre capi sono morti nel crash di Tver, e vista la composizione delle sue brigate, imbottite non solo di professionisti della guerra, ma anche di ex carcerati e di delinquenti comuni. Si salvi chi può, a questo punto.
Le conseguenze rischiano di essere gravi non tanto sul quadrante ucraino-bielorusso, ma soprattutto in quello mediorientale e africano, dove l’estrema versatilità delle milizie della Wagner aveva permesso a Putin di affrontare delle operazioni spericolate ed efficaci senza dover muovere l’esercito ufficiale, con le conseguenze diplomatiche annesse. Ciò è stato possibile approfittando della natura privata della creatura di Eugenij Prigozhin, anche se numerose sono state le leggi della Duma atte a favorire la Wagner, per l’arruolamento di carcerati, per la non punibilità dei delitti commessi in zona di guerra, per i finanziamenti alla creatura del “cuoco di Putin”.
Appare poi sempre più evidente come lo stile putiniano si stagli come il verbo assoluto del potere del Cremlino: tutto e tutti sono funzionali alla politica e agli obiettivi del presidente. Il quale, però, sta così dimostrando, accanto alla sua indubbia forza apparente, psicologica, militare e amministrativa, anche la sua debolezza, dovuta alla solitudine di un uomo che vive in un mare di sospetti e di vendette e sempre più assediato dal potere violento da lui stesso praticato e creato, un potere basato sull’eliminazione degli avversari e sulle complicità di personaggi di dubbia moralità.
In questo senso la Wagner probabilmente morirà presto, ma le conseguenze di quanto accaduto non sono certo terminate. C’è da aspettarsi, a medio e lungo termine, altri sommovimenti moscoviti. Molto dipenderà, a questo punto, proprio dai risultati della guerra in Ucraina, che peraltro sembra essersi trasformata in una lunga e sanguinosa battaglia senza fine. Purtroppo altro sangue scorrerà.
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