Così fragile così forte
Sto sistemando sul bagagliaio la valigia, quando squilla il cellulare. Pippo mi comunica che la moglie, Silvia, è ormai alle ultime ore di vita. La mia mente è paralizzata da una notizia che, pur se attesa, è sempre violenta. L’Intercity parte e una voce, in slovacco e tedesco, dà il benvenuto ai viaggiatori, comunicando destinazione e fermate. Apro un libro, ma non riesco a leggere nessuna parola, tanto è il turbamento. Poi mi viene in mente l’agenda su cui ho appuntato alcune frasi scambiate con Silvia; frasi che ora mi sembrano chiare, collegate, anche se dette in giorni diversi. Sento che la malattia mi ha trasformata. Di fronte alla verità della vita i valori vengono capovolti. Cose insignificanti diventano importanti e altre che sembravano importantissime di colpo le vedi vuote, non necessarie. Ho vissuto per la famiglia e la famiglia merita qualsiasi sacrificio perché è un bene che non si perde. Ora vedo come ritrovi soltanto quello che hai pagato col sacrificio. Non ho paura della morte. Non riesco più a pregare. Non riesco a finire un’Ave Maria. Se non avessi avuto accanto la mia famiglia non ce l’avrei fatta. Sento una grande gratitudine per tutti e tutto. Grazie, grazie!. In questo grazie! è l’epilogo di una vita. Come la neve che sta imbiancando il paesaggio fuori del finestrino, una grande pace entra nella carrozza. Di fronte a me siede un ragazzo con sulla maglietta una vistosa sagoma di Che Guevara. Certamente è uno studente, perché ha un quaderno di appunti su cui scrive e un testo nell’altra mano. Poi si asciuga gli occhi rossi, tira su col naso. Un esame andato male, un ricordo doloroso, una disgrazia appena successa? Non so come comportarmi perché lui non abbia a vergognarsi e sia libero di dare sfogo al suo dolore. Ora lui si sistema gli auricolari per ascoltare forse musica da un mp3. Un giorno, mentre ascoltavo un Notturno di Chopin eseguito dalla mamma di Silvia, col pensiero andai al mio futuro. Fu uno di quei momenti profetici per la direzione che avrebbe preso la mia vita: cominciare già nel tempo a vivere l’eternità. Questa intuizione sarebbe sfociata nella scelta di Dio prima di ogni altro programma. La scienza della vita è l’esperienza – mi disse una volta Silvia – ed è quella che si trasmette ai figli anche se ciascuno è solo a fare il suo percorso. Quante cose mi aveva detto mia madre che ora mi vengono in mente e ne scopro il valore. Osservo gli altri viaggiatori. Chissà a quale capitolo della propria storia si trova ciascuno. Di fronte a me il ragazzo con Che Guevara ha ripreso a piangere. È troppo isolato dal suo dolore perché io possa chiedergli se ha bisogno di qualcosa. Il dolore è così: o ti chiude o lancia ponti. Ho saputo che Silvia, gli ultimi giorni, per far felici i suoi, mangiava facendo una fatica immane, anche se subito dopo doveva rimettere tutto. La carità è dosata dalla misura di felicità che vogliamo dare agli altri. E ci sono momenti della vita in cui il misuratore alza troppo velocemente il livello. Improvvisamente il ragazzo mi chiede se ho un fazzoletto di carta. È l’occasione per domandargli a mia volta se gli è successo qualcosa. Risponde che ha appena saputo che la madre ha un male incurabile. Che senso ha la vita, i progetti, i miei studi di fisica teorica? Stiamo costruendo una villa e mia madre era tutta protesa a realizzare questo suo sogno. Ed ecco, una malattia le cambia tutto. Mio padre non credo che ci morirà. Lui ha trovato il modo di fare tanti soldi e non vede altro. Avere tutto è per lui come una vendetta contro il comunismo, perché viene da una famiglia che sotto il regime ha sofferto tanto.Mia madre invece no. Suo padre era uno del partito e ha avuto sempre privilegi che altri non avevano. Le liti che sento tra i miei toccano sempre il passato. Mio padre sfoga su mia madre tutto l’odio contro i comunisti e lei, da parte sua, non ha mai difeso l’opportunismo del padre che, appena girata la bandiera, era passato subito tra gli anticomunisti. Uno schifo di gente!. Poi, seguendo il filo dei suoi pensieri: Secondo lei che valore ha la memoria? Non sarebbe meglio non averla?. Per gli studi che fai – rispondo -, vedi quanto la memoria storica abbia valore. Ogni scienza progredisce sulla base dell’esperienza fatta, anche se negativa. Il passato determina il presente, anche se sembra che non ci sia più. Mia madre non ce la farà. Ha detto più volte che se scoprisse di aver un cancro si uccide. E il ragazzo torna nel suo oscuro silenzio. Grande mistero la vita. Un dolore imprevisto mette a nudo fragilità o forza. Silvia sta dimostrando una forza che stupisce tutti e forse le viene dalla maternità. Si è madri una volta e per sempre. Oppure mai. Non esistono madri stagionali. La storia dovrebbe essere scritta dalle madri. Una madre sente il polso della storia. Io immagino la storia come la tessitura di un tappeto. Il filo della mia vita si intreccia con quello degli altri, e di altri ancora. Io stesso non so cosa comporrà il mio filo quando si intreccerà con gli altri. Una cosa è certa: la mia storia diventerà inevitabilmente anche la storia di altri, come quella di altri è diventata la mia stessa storia. Il prodotto finale, il tappeto, sarà fatto da me, ma non soltanto. E io stesso non ne posso prevedere il disegno. Tutto è in mano di qualcuno che conosce cosa ricamare. Il ragazzo mi chiede cosa sto leggendo. Gli spiego che si tratta di una raccolta di discorsi di Flannery O’Connor, una scrittrice americana morta giovane a causa di un terribile male. Una donna coraggiosa, che forse, proprio per la malattia, ha cavato da sé stessa perle preziosissime di saggezza. L’altro non aggiunge nulla. Da come muove gli occhi lascia capire che una tempesta di pensieri gli si agita dentro. Mia madre è lontanissima da questo modo di pensare. Ama e odia i suoi genitori che, pur avendole assicurato una vita agiata, non le hanno dato le istruzioni per vivere. Mio padre da tempo ha rinunciato ad essere un sostegno per lei. Viviamo nella stessa casa, ho un altro fratello, ma siamo tutti soli. Ora forse mia madre è la più sola.Mio padre, appresa la gravità della malattia, non ha avuto reazioni. Per lui, forse, anche questa è colpa del comunismo. Sono passate più di cinque ore e mezzo. Ci stiamo avvicinando a Bratislava.Miro (il ragazzo si chiama così) sta tornando nella capitale, dove studia e vive in un appartamentino comperatogli dai suoi. Quando era partito non sapeva che lo attendeva una tragedia. Mi sembra uno che cerca un filo d’erba a cui aggrapparsi. Inevitabile per me il paragone con la famiglia di Silvia, che ha trasmesso ai figli i valori della vita. Al confronto, quel ragazzo mi sembra tanto povero. Gli regalo un’arancia che prendo dallo zaino e una scatola di cioccolatini. Li accetta come un bambino. Ci incontreremo ancora? A casa, mi accoglie un caldo profumo di gelsomino. Qualche settimana fa, temendo il gelo, avevo portato dentro la pianta. Questa fioritura un po’ tardiva mi sottolinea che è un momento solenne. Il giorno dopo, quando ricevo la notizia della morte di Silvia, il gelsomino sta continuando a riempire la casa del suo profumo.