Così fan tutte

Il 47mo Macerata Opera festival propone il capolavoro mozartiano
così fan tutte

Sono due gli atti che Lorenzo da Ponte ha scritto per Amadeus, ma che atti! Contengono una quantità ed una qualità di musica con cui qualche autore dell’Ottocento – e del Novecento – avrebbe composto due o tre opere!

 

La trama è apparsa cinica e perciò da Beethoven in poi – per tutto il secolo diciannovesimo – è stata accusata di essere ben poco esemplare. Le due sorelle che perdono gli innamorati partiti per il campo militare e che li rimpiazzano, pur tra i rimorsi, in un solo giorno con altri – che poi sono gli stessi, travestiti – finendo, smascherate, a riconciliarsi con loro, in realtà formano un quadro disinvolto quanto a moralità. Per di più è un vecchio misogino, don Alfonso, a condire l’inganno.

 

Ma questo è anche un aspetto dei comportamenti umani e Mozart non si tira indietro, come aveva fatto nelle Nozze di Figaro e nel Don Giovanni: ad un drammaturgo è tutta la vita che lo interessa. Eppure, nel gioco scattante dei due atti – congegnati con maestria dal librettista – nella giostra dei sentimenti che vanno e vengono, dei dubbi e delle lusinghe, succede quel momento in cui Mozart, come sempre – ed è un miracolo dell’arte – ferma la follia umana per una pausa in cui la musica sale in alto, in alto, e assume quel tono di contemplazione si direbbe religiosa, ove i bamboleggiamenti umani si trasformano in verità. E i burattini della vita diventano persone. Oasi di grazia, come Di scrivermi ogni giorno…, dove le parole son spezzate dall’ansia; o Soave sia il vento, un terzetto in cui anche il cinico don Alfonso per un attimo ridiventa un uomo con u n cuore e il mormorio degli archi echeggia quello delle onde: del mare, certo, ma pure dell’anima. Momenti di stasi in un vortice di scene dove si rappresenta la volubilità al femminile in amore al massimo grado, ma, a ben vedere, quella dell’uomo in generale.

 

Merito di Pier Luigi Pizzi di aver creato un allestimento luminosissimo, un dinamismo attoriale pieno di verve quanto mai attuale, in perfetta sintonia con l’orchestra marchigiana diretta da un bravo Riccardo Frizza. «Ci siamo divertiti» ha affermato Juan Francisco Gatell, ottimo cantante attore argentino nei panni di Ferrando, voce chiara e bella, dizione perfetta come gli altri interpreti (Carmela Remigio, Ketevan Kemoklidze, Andreas Wolf), tanto che non c’era bisogno – nella cornice neoclassica del teatro Lauro Rossi – delle consuete scritte luminose del libretto per il pubblico. Che si è entusiasmato dall’inizio alla fine per una splendida esecuzione, ricca di brio, di giovinezza reale di voci e di interpreti. Vivacissima la “diavoletta” napoletana Giacinta Nicotra nel ruolo della serva Despina, furba come di fatto lo sanno essere le donne, nonostante il misoginismo del vecchio don Alfonso.

 

Ancora una volta Mozart ha vinto, rappresentando da par suo quella che in fondo è la nostra piccola vita, che la sua musica rende però assai grande. E universale, perché tutti ci ritroviamo, a volte, nell’incastro degli inganni, dei cedimenti ma anche del bisogno di perdono che – guarda caso – sempre Mozart concede alla fine ai suoi personaggi. Come ha ben capito Pizzi, rivestendo di una luce celeste, poi nebbiosa e infine raggiante la sua candida scena.

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