Cos’è l’Isis-K, la costola afghana dell’Isis in guerra contro i Talebani
Dietro l’attacco all’aeroporto di Kabul dello scorso 26 agosto, ci sono i miliziani dell’Isis Khorasan (Regione storica che comprendeva i territori che attualmente fanno parte dell’Iran, dell’Afghanistan, del Tagikistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan). Si tratta della costola orientale del Califfato di Raqqa, nata nel 2014 quando tra gli obiettivi di Abu Bakr Al Baghdadi, leader dello Stato islamico, c’era la formazione di cellule distribuite nei vari territori, per la realizzazione di un Califfato globale.
Cos’è l’ISIS-K
A Jalalabad, nella provincia orientale di Nangarhar, l’area montuosa a sud est di Kabul, nella zona tribale che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan, nel 2015 l’Isis-K ha stabilito la sua base operativa. Nella stessa area, da sempre culla del terrore, è nata Al Qaeda e da quelle montagne Osama Bin Laden parlava ai mujaheddin e al mondo intero.
Negli anni, né gli americani né i sovietici sono riusciti a prenderne il controllo per spezzare la rete di armi e uomini provenienti dal Pakistan. In quest’area, dopo il 2001, si sono radunati i jihadisti in fuga dall’Afghanistan, e i disertori delle milizie pachistane non più in linea con gli ideali della vecchia generazione jihadista, inoltre, dal 2019, la regione del Khorasan è diventata la roccaforte dei foreign fighter in fuga dalla Siria dopo la sconfitta dello Stato Islamico.
In un territorio già culla del terrorismo di Al Qaeda, nel 2015 sono iniziate ad arrivare le prime rivendicazioni di un gruppo terroristico che si fa chiamare ISKP o Provincia del Khorasan dello Stato Islamico, fondato dai telebani pakistani, con a capo Hafiz Saeed Khan, ex membro di Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP). Il gruppo, che nasce inizialmente da una costola di Al Qaeda, ben presto decide di giurare fedeltà al Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, in quel tempo all’apice del potere in Siria e Iraq, per contribuire alla creazione di una provincia in Afghanistan e alla realizzazione del Califfato globale. L’obiettivo dell’Isis-K è infatti quello di fondare un califfato nell’Asia Meridionale e centrale, basato su un’interpretazione rigida della sharia, conforme a quello presente in Siria e Iraq.
Il movimento è cresciuto negli anni grazie ai finanziamenti dello Stato Islamico, all’appoggio dell’etnia pashtun del Pakistan, ma anche per la tolleranza del Governo e dell’intelligence di Kabul. Al gruppo sono attribuiti più di 100 attacchi, la maggior parte contro minoranze sciite, donne e bambini.
L’Isis-K ha perso potere con la fine dello Stato islamico e di conseguenza con la chiusura dei finanziamenti, ma continua ad essere una calamita per i veterani siriani in fuga dopo la caduta dello stato islamico in Siria e in Iraq e per i mujaheddin dei paesi limitrofi, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan.
Secondo l’ONU, l’Isis-K, conta poco più di 1500 combattenti. Difficile credere che i miliziani possano competere con i Talebani per il controllo del paese, ma sicuramente possono minarne la stabilità. Alla base del conflitto c’è il controllo territoriale ed economico, nascosto dietro ad uno scontro ideologico. Attentati come quello all’aeroporto di Kabul dello scorso 26 agosto servono ad intimorire l’Occidente e a dimostrare l’incapacità del nuovo governo Talebano nel controllare e proteggere il territorio. Il terrorismo torna così a farsi pubblicità, sfruttando un palcoscenico ideale che vede puntati su di sé i riflettori di tutto il mondo e il rischio è che l’Afghanistan torni ad essere il centro di gravità per le cellule dormienti.
Le rivalità con al Qaeda e i Talebani
Nonostante l’ideologia radicale basata sul rispetto della Sharia sia alla base del pensiero talebano e dell’Isis, i due gruppi sono in guerra da anni. Ciò che lo Stato Islamico contesta ai talebani, è di essere pedine nelle mani degli americani, apostati incapaci di applicare la legge islamica con sufficiente rigore, accusati di essere interessati semplicemente al potere politico a discapito della Sharia, e disposti a scendere a patti con il nemico principale: l’Occidente.
Il conflitto si è acuito soprattutto dopo gli accordi di Doha, che tra l’altro prevedono il ritiro delle truppe straniere dal territorio afghano, come rivendicazione dei Talebani, e l’impegno di questi ultimi a rinunciare ad ogni legame con il jihadismo. A questo si aggiunge la promessa da parte del gruppo fondamentalista di un governo più tollerante rispetto al passato.
C’è inoltre da considerare che quello dei Talebani è un gruppo nazionalista, con l’obiettivo di realizzare un emirato all’interno dei confini afghani, ma senza ambizioni internazionali, capace di scendere a patti con l’Occidente e di sacrificare le proprie ideologie, pur di affermare il proprio potere sul territorio, in contrasto dunque con il sogno di un califfato globale che identifica invece i terroristi salafiti.
Distruggere quindi l’influenza dei talebani in Afghanistan è da sempre tra gli obiettivi dell’Isis, con l’idea di partire proprio da quei territori per costruire le basi del jihadismo globale.
Capire quali sono i rapporti tra le organizzazioni terroristiche è oggi ancor più importante perché anche da questo dipende il futuro dell’Afghanistan. Ma per comprendere il conflitto tra Isis e talebani bisogna fare un passo indietro e tornare alle origini del conflitto tra Al Qaeda e Stato Islamico.
In un primo momento, lo Stato Islamico dell’Iraq (ISI), è stato infatti il ramo principale di al-Qaeda in Medio Oriente. Al momento della sua creazione nel 2003, la guida era Abu Musab al-Zarqawi, fedele a Bin Laden, tanto che il denaro utilizzato e il marchio erano quelli di al-Qaeda. Un primo cambiamento avviene nel 2010, quando l’ISI, senza il consenso dei vertici qaedisti, nomina come nuovo leader, Abu Bakr al-Baghdadi. La strategia del nuovo leader si basa sulla creazione di un movimento nazionalista sunnita, cercando il consenso tra le popolazioni sunnite presenti nei territori conquistati. Nel 2011, con l’inizio della guerra civile siriana, al-Baghdadi ne approfitta per inviare un gruppo di jihadisti a combattere al fianco dei ribelli. In territorio siriano era presente anche il Fronte al Nusra, unico rappresentate di al Qaeda in Siria. La guerra in Siria si trasforma ben presto in una guerra per procura, dove i diversi paesi arabi, in base ai propri interessi, appoggiano Assad, presidente alawita, i miliziani o i ribelli sunniti. In questo clima caotico, i jihadisti inviati sul territorio hanno iniziato l’addestramento militare.
Nel 2013, lo Stato Islamico dell’Iraq si fonde con il Fronte al Nusra, dando vita alla nuova organizzazione: lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (al Sham è l’antica denominazione di Damasco) o ISIS, completamente staccato da Al Qaeda. La nuova denominazione mostra come il progetto di al-Baghdadi si stia evolvendo per diventare un po’ alla volta transnazionale. Così, mentre i comandanti di Al Qaeda combattevano per la caduta di Assad, l’esercito di al-Baghdadi iniziava un periodo di conquiste territoriali. Nel 2013, Ayman al Zawahiri, nuovo leader di al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, ordina ad al-Baghdadi di abbandonare il territorio siriano e tornare in Iraq, la risposta sarà ovviamente negativa. Nel giro di poco tempo, l’Isis è riuscita ad eclissare al-Qaeda sui campi di battaglia di Siria e Iraq, portando dalla sua parte finanziamenti e nuove reclute. Così, i due gruppi, sono diventati nemici.
Dopo la rottura dell’alleanza tra Al Qaeda e lo Stato Islamico in Siria, la guerra per il controllo dei territori si è spostata anche in Afghanistan, così come gli scontri tra i Talebani, appoggiati da Al Qaeda e Isis.
Il ritorno dell’Isis in Afghanistan
Dal territorio Afghano l’Isis non è mai andato via. Il ritorno al potere dei Talebani e l’uscita di scena dell’America hanno semplicemente dato una scossa al terrorismo salafita che nel caos di Kabul ha trovato l’occasione per rispolverare la propria immagine, dimostrando ancora una volta che la sua forza non può essere sottovalutata. Il timore è che il nuovo Afghanistan si trasformi in un campo di battaglia dove talebani, Isis, Al Qaeda e gli altri gruppi jihadisti si scontreranno per il controllo territoriale, contagiando anche i paesi confinanti ed attirando finanziatori interessati ad indebolire il governo talebano. L’attacco all’aeroporto di Kabul, secondo l’intelligence, è solo il primo di una serie di attentati programmati per indebolire l’immagine del nuovo governo e per ripartire con una campagna di reclutamento che potrebbe risvegliare vari focolai dello Stato Islamico. Ma in questa rete di attori e rapporti ambigui non va sottovalutato un altro punto fondamentale: i talebani non sono un gruppo coeso ma formato da clan e se per ora ciò che interessa gli studenti del Corano è dimostrarsi, agli occhi dell’America e dell’Occidente, come un gruppo desideroso di proteggere l’Afghanistan dalle organizzazioni terroristiche, non bisogna dimenticare che i rapporti con Al Qaeda rimangono ancora ambigui, che nelle file dell’Isis-K militano diversi ex talebani e Qaedisti e che il gruppo Haqqani, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’entrata dei Talebani a Kabul, allo stesso modo tra il 2014 e il 2015, ha contribuito all’affermarsi dell’Isis-K nella provincia di Nangarhar.