Cos’è l’autoefficacia?
La definizione più appropriata di autoefficacia è “capacità di produrre gli eventi desiderati”, definita anche come “agentività”. Tale capacità dipende da un atteggiamento “proattivo” piuttosto che semplicemente “reattivo”. La reattività comporta una semplice risposta dell’individuo ai cambiamenti dell’ambiente naturale e sociale, di natura adattativa; la proattività, invece, implica una ristrutturazione dell’ambiente da parte del soggetto, che produce gli effetti desiderati invece di limitarsi a subirli. A sua volta, l’atteggiamento proattivo è frutto di convinzioni funzionali riguardo alle proprie capacità e livello di competenza.
La capacità di evoluzione della persona, secondo la teoria, parte dalla considerazione che tutti gli individui hanno, potenzialmente, pari opportunità di raggiungere il successo, quest’ultimo inteso non come un obiettivo posto da una qualche norma esterna, ma come il raggiungimento di ciò che realmente e liberamente vogliamo dalla vita (in tal senso, anche un clochard si potrà dire soddisfatto, se questo è realmente quel che vuole).
L’aspetto innovativo sta nell’enfasi posta sulla scarsa/elevata autoefficacia personale come sistema di convinzioni, dove queste ultime non sono altro che assunti su ciò che ciascuno di noi giudica vero/falso, possibile/impossibile, realizzabile/irrealizzabile. Poiché una convinzione del tipo vero/falso attorno alle nostre capacità e agli ostacoli che percepiamo è talvolta centrata ma più spesso distorta, ne consegue che il senso di autoefficacia dipende dalla correttezza di quella convinzione.
L’autoefficacia determina in larga misura la crescita personale (empowerment) e si costruisce a partire dall’autostima, da un buon grado di tolleranza alla frustrazione e dalla determinazione nel ripetere i tentativi falliti volti a conseguire il successo, ristrutturando il metodo o gli scopi personali.
Tale complesso di abilità non è un dato genetico, ma una variabile dipendente dall’apprendimento, soprattutto ad opera dell’ambiente sociale, in grado di determinare destini vincenti o copioni perdenti. Anche se non sempre ce ne avvediamo, una convinzione (o credenza) è inevitabilmente fatta di linguaggio, cosicché l’analisi di una convinzione implica la ristrutturazione linguistica delle credenze/ostacolo e il rafforzamento delle credenze funzionali. Si tratta di un viaggio affascinante nel linguaggio come sistema personale “implicito” di riferimento, dove l’uso di espressioni, apparentemente banali e comunemente usate dai più, nasconde spesso una inattesa nocività.