Coscienti dell’identità europea

Con qualche lacrimuccia di nostalgia abbiamo salutato la scomparsa della vecchia cara lira, sudata protagonista di un’Italia che ha costruito il suo benessere, passo dopo passo, sul lavoro e sul risparmio. Con l’euro ci si aspetta il consolidamento di quella stabilità economica che un grande mercato continentale dovrebbe assicurare grazie alla maggiore solidarietà prodotta, non più dalle sole leggi, ma dall’effettiva condivisione delle sorti di un’economia così profondamente interdipendente fra i paesi dell’Unione. Siamo dunque entrati in una fase che potrebbe definirsi della maturità, in cui abbiamo preso coscienza del fatto che si può procedere insieme e che, anzi, conviene. Ma al tempo stesso siamo davanti ad una nuova scelta che si impone: quella dell’allargamento dell’Unione. Cinquant’anni fa i padri fondatori Adenauer, De Gasperi, Schumann, avevano inventato la Comunità europea primariamente per scongiurare il ripetersi di un conflitto che l’aveva straziata e portata sull’orlo di un nuovo abisso con la minaccia di un asservimento irreversibile davanti all’espansione sovietica. Fu scongiurato dagli Stati Uniti che difesero la metà occidentale del continente. Per mezzo secolo siamo stati spettatori impotenti della sorte toccata all’altra metà dell’Europa; e ciò non è stato uno stimolo da poco a rafforzare la solidarietà fra i paesi democratici. Oggi, la nuova fase nasce, come è stato osservato, dalla fine di un’altra guerra, quella definita fredda, che nell’89, con l’implosione dell’Unione Sovietica, ha liberato l’altra metà dell’Europa rendendola disponibile a integrarsi nell’Unione già costruita in occidente; anzi, vogliosa di condividerne i benefici. Nei tempi e nei modi previsti questo allargamento avverrà. Anzi non è difficile ipotizzare che esso sarà solo il prodromo di un’ulteriore espansione a tutte le componenti slave dell’est. Perché i popoli europei, così come non finivano sull’Elba, neppure finiscono sul Dniepr o sul Don, e neppure sugli Urali, ma hanno popolato anche la Siberia fino a congiungersi con quell’ “Europa esportata” che ha popolato le Americhe. All’espansione – quella ridotta che si prospettaimminente per alcuni paesi dell’Europa centrale e del Baltico -, deve fare da contrappeso il consolidamento politico della parte che si presenta ormai già strutturata con precise regolamentazioni economiche e sociali. È una nuova fase, dunque, quella che si è aperta in questi giorni con l’insediamento della Convenzione, cioè dell’organismo consultivo che dovrà elaborare una serie di proposte sul futuro dell’Europa: un cammino verso una Costituzione per i cittadini europei. Alla Convenzione dovrà seguire una Conferenza intergovernativa che entro il 2003, proprio durante il semestre di presidenza italiano, dovrà ratificare o meno le proposte emerse.A maggior ragione dunque si prospetta la necessità che il nostro paese si presenti a quell’appuntamento con una visione della propria politica europea più chiara e definita di quanto non abbia saputo dimostrare a tutt’oggi. In vista della stesura di un secondo trattato di Roma che potrebbe non essere meno gravido di conseguenze positive per l’Europa di quanto lo sia stato il primo. Ma qui si impone un’altra considerazione: quella di recuperare un’anima per questa Europa che si dimostra preoccupata solo di consolidare e accrescere la propria consistenza economica. Se ne è parlato ancora qualche giorno fa in un convegno che la Fondazione Alcide De Gasperi ha dedicato al tema europeo inquadrato nel pensiero e nell’azione di Giovanni Paolo II. Che se la prima fase dell’unità europea è stata caratterizzata dall’opera di alcuni grandi politici cristiani, questa seconda fase può ben dirsi ispirata e promossa dal grande papa polacco, che ha così fortemente contribuito al ricongiungimento fra le due metà del Vecchio continente. Oggi, il grido d’allarme di Karol Wojtyla suona alto e allarmato non meno di ieri; e accusa i governanti europei di progettare un’Europa senz’anima, sradicata dalla propria storia che ha fondamenta culturali greco- latine, ebraiche e cristiane, assolutamente irrinunciabili. Pena il proprio decadimento. Sarebbe un gravissimo malinteso privare di questa identità il continente, nel segno della multiculturalità che si prospetta, e che il cristianesimo ha conosciuto fin dalle proprie origini. Che anzi, avere coscienza della propria identità è il modo più corretto per entrare in rapporto con gli altri e aprire ad una più consapevole solidarietà.

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