Cosa voglio di più
La storia di Soldini, pur ben scritta e curata, rischia la similitudine con molte altre del nostro cinema. Un tradimento che mina le famiglie e la vita dei protagonisti avrebbe meritato più calore e emozione.
Cosa vuole di più Anna (Alba Rohrwacher), diligente impiegata milanese che vive col soffice Alessio (Giuseppe Battiston)? E cosa vuole anche Domenico (Pierfrancesco Favino), calabrese tuttofare, sottopagato, con moglie e due figli? In una Milano, coppie una volta tanto non dell’alta borghesia – un vezzo ormai del nostro cinema – vivono una vita senza particolari gioie, in un monotono susseguirsi di lavoro, visite a parenti ed amici, maternità ed educazione dei figli, e con una fatica ad arrivare alla fine del mese.
Un tocco di risvolto sociale che Silvio Soldini, nel suo nuovo film non manca di sottolineare con naturalezza. Succede allora, come in tanti altri film, che sboccia la classica storia d’amore tra l’impiegata e l’operaio, cercata e voluta da lei da principio, come un bisogno di passione, di sfogo sentimentale e forse anche di amore vero. L’intreccio di bugie, di incontri fuggitivi ma intensi, la divisione in due dell’animo dei protagonisti, entrambi legati ad altre persone, è nodale e non si districa facilmente. Rimorsi, accuse reciproche, stacchi e nuovi incontri rendono fatale la conclusione amara e dolente. Forse un bisogno di perdonare sé stessi prima che i rispettivi partners?.
Soldini compone un’opera di notevole professionalità come regia, scrittura, fotografia, musica e recitazione. In quest’ultima si segnalano il mite Battiston, grande attore che recita sul “perdere”, e Favino. La sempre brava Rohrwacher, che nelle forse troppo prolungate scene erotiche e nel resto del film appare però più distante che coinvolgente. Ma è tutto il film a scontare un eccessivo distacco del regista dalla sua creazione, che risulta a tratti algida. Eppure, trattando un tema onnipresente nel cinema, anche nostrano, col rischio di raccontare una storia simile a molte altre, ci voleva del calore, una emozione sincera, un saper limare il testo che avrebbe dato un’anima “ in più” a questo lavoro.