Cosa troverà il papa in Perù?
Il Paese che incontrerà Francesco è un Perù politicamente polarizzato, disilluso dalla politica corrotta e dalla logica dei favori tra partiti, il cui governo pretende di riattivare un’economia rallentata (più 2-2.5 %, dopo il 7-10 % degli ultimi anni) semplicemente attirando investimenti dall’estero, con un modello estrattivo e di infrastrutture poco o nulla attento alla sostenibilità ecologica, specie nelle zone più povere dell’Amazzonia e delle Ande.
È la sintesi offerta a Città Nuova da Ismael Vega, direttore del Caaap, il Centro amazzonico di antropologia e applicazione pratica, istituto fondato dai vescovi dell’Amazzonia peruviana. Vega vive a Puerto Maldonado, città dove il Papa incontrerà circa 4 mila leader indigeni e pranzerà privatamente con alcuni di loro, oltre a incontrare la popolazione locale in piazza. I drammi del “polmone della Terra”, con la distruzione della foresta per le attività minerarie illegali, la tratta di persone (soprattutto giovanissime donne indigene) e il lavoro minorile (anche in vista del sinodo speciale a esso dedicato nell’ottobre 2019), saranno uno dei motivi della presenza del papa in Perù, insieme alla necessità di abbracciare le vittime delle inondazioni di El Niño, da Costero a Trujillo, e all’incontro coi vescovi e coi fedeli a Lima.
I diritti dei popoli che ancestralmente abitano l’Amazzonia non sono rispettati in Perù, denuncia l’antropologo, poiché non li si consulta, come previsto dalla legge, prima di approvare progetti minerari, la costruzione di autostrade che feriscono la selva o di centrali idroelettriche nei loro territori, e ciò provoca gravi conflitti. «Gli indigeni, è stato dimostrato, sono quelli che meglio rispettano l’ambiente col loro stile di vita», asserisce Vega. Inoltre, esistono gruppi «non contattati» o «in isolamento volontario» dagli «uomini bianchi», che desiderano vivere fuori dal modello della civilizzazione occidentale, che lo Stato, per legge, deve proteggere, per i quali le incursioni illegali dei bianchi sono una minaccia alla loro sopravvivenza, sia perché riducono sempre di più il territorio da dove traggono gli alimenti, sia perché gli indios non hanno gli anticorpi per difendersi da malattie per loro sconosciute e per le quali il loro organismo è impreparato. La Chiesa, da sempre dalla parte degli indigeni, «ratificherà nel loro incontro con Francesco il suo sostegno alle loro lotte, come loro alleata nella difesa della vita del pianeta», prevede convinto Ismael Vega.
L’indulto all’ex presidente Alberto Fujimori, accusato di gravi violazioni ai diritti umani per le stragi di Cantuta e Barrios Altos e di corruzione, perché “pagato” con i voti del suo partito per non avviare l’impeachment al presidente Pedro Pablo Kuczynski, «ha sollevato le proteste di ampi settori della popolazione, oltre a motivare azioni legali in Perù e a livello internazionale, presso la Corte interamericana dei diritti umani», spiega Vega. In questo contesto, i fedeli hanno bisogno dell’accompagnamento della Chiesa per attivarsi maggiormente. Chiesa che ha peraltro subito manifestato, in un comunicato della conferenza episcopale, la sua preoccupazione «come quella di tutta la società peruviana, per l’indebolimento dei poteri dello Stato e per la corruzione».
Francesco troverà uno Stato che in 17 anni di democrazia piena ha potuto ridurre i livelli di povertà e di esclusione, ma che mantiene ancora ampi settori della popolazione nella miseria, lontano dai livelli stratosferici di ricchezza delle poche famiglie che detengono i mezzi di produzione e le risorse economiche del Perù. Non a caso, è la terra natale dell’iniziatore della teologia della liberazione riabilitata da Francesco, il sacerdote Gustavo Gutiérrez.
Anche qui c’è bisogno della ventata di speranza che il primo papa figlio dell’America Latina porta dovunque vada.