Cosa succede al cervello quando ci innamoriamo
Da quando sono state create le tecnologie capaci di osservare non solo la struttura anatomica dei circuiti cerebrali, ma anche il loro funzionamento, i neuroscienziati hanno potuto studiare le aree del cervello deputate alle relazioni interpersonali e affettive.
Oggi sappiamo come funziona il cervello nel momento in cui un individuo è affettivamente sintonizzato con un altro. Sappiamo quali sono le sostanze chimiche che vengono prodotte da due amanti quando si scambiano fiducia, intimità, sicurezza, piacere. Si tratta di stati interiori resi possibili dagli ormoni dell’amore come l’ossitocina e la dopamina.
I cervelli degli innamorati funzionano come quelli di una madre e di un figlio: tra di loro si crea una stretta interdipendenza non solo psicologica ed emotiva, ma anche fisiologica. Lo stato di calma e di sicurezza con cui una madre accudisce il suo bambino è in grado di modificare visceralmente lo stato corporeo agitato o spaventato del figlio.
Il modo di amare degli adulti non è quindi dato solo dalla predisposizione del bagaglio genetico con cui nascono, ma anche da come sono stati accuditi da bambini, poiché le esperienze infantili condizionano le strutture cerebrali modificandole in meglio o in peggio.
È stato accertato che il modo di amare di un individuo è il risultato di una continua influenza reciproca tra le sue esperienze passate e il suo bagaglio genetico.
Lo studio sulla mappatura del genoma negli ultimi anni è stato spesso enfatizzato dai media che ogni tanto “rivelano”: è stato individuato il gene che porta le persone a divorziare, oppure il gene dell’infedeltà o quello della monogamia. Le esperienze passate e la genetica, tuttavia, non possono spiegare, da sole, i modi con cui le persone amano; esiste una terza variabile, non meno importante, che deve essere presa in considerazione: la responsabilità personale nel costruire i rapporti affettivi.
La relazione affettiva è una co-costruzione reciproca che condiziona il cervello attraverso il potere dell’empatia, ossia attraverso quel rispecchiamento emozionale che è frutto di una condivisione di circuiti neurali. La scoperta dei neuroni mirror (specchio) rappresenta l’evidenza scientifica più eclatante della capacità che i primati hanno di mettersi in connessione tra di loro: semplicemente osservando le azioni dell’altro si attivano in noi gli stessi circuiti neurali, quasi come se fossimo noi a compiere il gesto osservato.
Se vediamo qualcuno che sbadiglia o guarda in alto, siamo portati a fare altrettanto proprio grazie a questo meccanismo di imitazione automatica. I neuroni specchio sono chiamati così perché hanno la funzione di rispecchiare non solo gli atti motori e le azioni che una persona osserva nell’altra, ma anche le sue intenzioni, gli scopi di quegli atti, e perfino gli stati interiori emotivi che ci permettono di comprendere l’altro dall’interno.
Il cervello, dunque, non è un organo individuale, ma un organo che si plasma attraverso le interazioni con gli altri: la sua natura è relazionale. I neuroni mirror rappresentano l’evidenza di quanto e come gli uomini siano programmati per connettersi e sintonizzarsi gli uni con gli altri, per empatizzare tra loro e sincronizzarsi. Di come siano fatti per amare!
Sull’argomento leggi anche “Amare senza ansie né catene“.