Cosa sta succedendo in Sudan?
Il Sudan ha una storia complessa dove i militari hanno spesso avuto il controllo del Paese. Dal 15 aprile scorso, il Paese è di nuovo al centro delle cronache per i violenti combattimenti che vi sono scoppiati.
Un enorme Paese nel Nord-Est dell’Africa, Il Sudan confina con Egitto, Etiopia, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Eritrea e Sud Sudan. Il Paese ospita una parte del Sahara, uno dei più grandi deserti del mondo, e il Nilo, il fiume più lungo del mondo.
I violenti scontri hanno già causato diverse centinaia di morti e migliaia di feriti. Nonostante i numerosi accordi di cessate il fuoco stipulati da entrambe le parti, i combattimenti continuano, alimentando il timore che il bilancio delle vittime possa aumentare, dato che la gente lotta anche per ottenere assistenza sanitaria, cibo e rifugio.
In un discorso al Consiglio di sicurezza di martedì scorso Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha affermato che i Paesi confinanti che «sono stati coinvolti in conflitti o hanno assistito a gravi disordini civili nell’ultimo decennio» rischiano di essere colpiti. «Il Sudan confina con sette Paesi, tutti coinvolti in conflitti o in gravi disordini civili nell’ultimo decennio – ha dichiarato -. La lotta per il potere in Sudan non sta solo mettendo a rischio il futuro del Paese».
Cosa sta succedendo?
Si sta accendendo una miccia che potrebbe esplodere oltre il Sudan, causando immense sofferenze per anni e riportando lo sviluppo indietro di decenni.
Si tratta di una lotta per il potere tra due uomini che hanno deciso che a Khartoum c’è posto per un solo sovrano. Uno è Abdel Fattah al-Burhan, un generale che è stato a capo delle forze armate sudanesi negli ultimi anni e che agisce come leader de facto del Paese. L’altro è Mohamed Hamdan Dagalo – popolarmente detto “Hemedti” – un ex signore di guerra ed leader delle “Rapid Support Forces” (Rsf).
Perché i militari sono al comando in Sudan?
Gli scontri sono l’ultimo episodio delle tensioni che hanno fatto seguito alla destituzione nel 2019 del presidente di lungo corso Omar al-Bashir, salito al potere con un colpo di Stato nel 1989.
Ci sono state manifestazioni e proteste per chiedere la fine del suo governo durato quasi tre decenni, e l’esercito ha organizzato un colpo di Stato per sbarazzarsi di lui. Ma i civili non hanno mai smesso di chiedere l’introduzione della democrazia. Dopo il golpe, venne istituito un governo congiunto militare-civile, che fu però rovesciato da un altro colpo di Stato nell’ottobre del 2021, quando prese il potere il generale Burhan. Da allora la rivalità tra il generale Burhan e il generale Dagalo si è intensificata.
Lo scorso dicembre è stato concordato un percorso per riportare il potere nelle mani dei civili, ma i colloqui per definire i dettagli sono falliti. L’Rsf e l’esercito sudanese hanno entrambi delle basi in aree urbane densamente popolate. In questi giorni sono stati segnalati bombardamenti di case e ospedali danneggiati utilizzati come basi militari.
Cosa vogliono le due parti?
Il generale Dagalo ha affermato, in una serie di tweet, che il governo del generale Burhan ha dato spazio ad un «islamismo radicale», mentre lui e l’Rsf stanno «combattendo per il popolo sudanese, per assicurare il progresso democratico al quale da tempo anela». Molti diffidano di questo messaggio, visti i brutali precedenti dell’Rsf. Il generale Burhan, dall’altra parte, ha dichiarato di sostenere l’idea di tornare ad un governo civile, ma che cederà il potere solo a un governo eletto. Si sospetta che entrambi i generali vogliano rimanere aggrappati alle loro posizioni di potere, non volendo perdere la ricchezza e l’influenza che ne derivano.
L’ultimo tentativo di cessate il fuoco di 72 ore mediato da Stati Uniti e Arabia Saudita per consentire l’arrivo degli aiuti e la partenza in sicurezza delle persone, che doveva iniziare alla mezzanotte di lunedì 24 aprile, è stato violato da entrambe le parti.
«La situazione non sembra migliorare – , ha dichiarato Shewit Woldemichael, una analista esperta del Crisis Group in Sudan -. Quando entrambe le parti hanno sbarrato tutti i ponti che collegano Khartoum, bloccando i pochissimi rifornimenti essenziali che raggiungono Khartoum, ci si aspetta che si verifichi l’illegalità, e così è stato».
I governi di tanti Paesi del mondo stanno evacuando i loro cittadini dal Sudan (compresa l’Italia, nei giorni scorsi), ma incontrano molte difficoltà. Il governo nigeriano ha accusato il mancato rispetto degli accordi di cessate il fuoco da parte di entrambe le parti come il principale ostacolo all’evacuazione.
I diplomatici, che hanno svolto un ruolo cruciale nel tentativo di sollecitare il ritorno al governo civile, hanno cercato di trovare un modo per far dialogare i due generali. Subito dopo l’inizio dei combattimenti, un gruppo di Paesi della regione ha deciso di inviare a Khartoum tre presidenti – del Kenya, del Sud Sudan e di Gibuti –, ma la missione non si è mai realizzata.
Il presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat ha convocato on line per giovedì scorso, 19 aprile, una riunione ministeriale speciale alla quale hanno partecipato potenze regionali e straniere, tra cui Lega Araba, Libia, Russia e Cina. Hanno chiesto la fine delle violenze e la ripresa dei colloqui «per l’istituzione di un governo di transizione inclusivo e democratico, a guida civile».