Cosa sei disposto a fare per la pace?

È la domanda provocatoria di AnShin Thomas, monaco buddista, ai cittadini di Parma. Città in cui i semi piantati dal dialogo interreligioso e dal volontariato stanno già germogliando.
parma

Elena è una signora di una certa età che vive da sola e vuole andare in serata ad una conferenza sul dialogo interreligioso che si tiene nella sua città, Parma. I figli perplessi le chiedono come pensa di tornare a casa vista la tarda ora; lei si ricorda dei suoi amici musulmani vicini di casa che certamente potranno darle un passaggio, e così senza troppi tentennamenti è tutto risolto. È una scena della quotidianità, realmente accaduta, che spiega quanto sia semplice il vivere assieme senza generare guerre o discriminazioni per il nostro credo religioso.

 

A Parma dei giovani si sono chiesti come contribuire alla pace e come risolvere il problema dell’emarginazione e della povertà, grandi tematiche che poi sfociano in quella del reinserimento sociale di tanti individui. Anche la cittadina emiliana, conosciuta ai più per il suo benessere (è tra le prime dieci d’Italia ed in pole position sul fronte dell’economia), si trova oggi dinanzi a tante sfide: l’immigrazione, il dialogo-scontro fra culture e religioni diverse, maggioranza versus minoranze etniche. Conosciamo bene questi titoli, o forse slogan proiettati costantemente sugli schermi delle nostre case. A Parma, invece, Ambrose e Daniele (due giovani) sentono che bisogna fare qualcosa per e con i cittadini e così invitano il monaco buddista AnShin Thomas che racconta la sua esperienza di ex soldato in Vietnam e rivolge a tutti la stessa domanda: «Cosa sei disposto a fare per la pace?». «Dobbiamo essere la pace che vogliamo vedere» continua AnShin Thomas. Per una settimana ripete queste battute nelle scuole, tra le strade della città, agli adulti. Al di là del fuso orario che non gli permette di avere un’esatta percezione del tempo, instancabilmente spende tutte le sue energie per annunciare e testimoniare con la sua vita un unico messaggio: quello della pace.

 

Eppure quanto esprime il monaco buddista non è un messaggio nuovo, seppur tale appare oggi nella società in cui viviamo, dove bisogna “essere la pace che vogliamo vedere” negli ambienti a noi più vicini: il condominio, l’ufficio di lavoro, il banco di scuola e la biblioteca che ci accoglie per il nostro studio. Lo sottolineava già Chiara Lubich rispondendo ad una lettera a lei indirizzata da Niko Niwano nel 1990: «È come se gli uomini, in questi ultimi decenni, avessero camminato con delle grandi scarpe dentro il fango, facendolo schizzare dappertutto: nell’atmosfera, nelle acque dei fiumi e del mare, sono stati rovinati gli alberi, degradate molte cose, ammorbata l’aria. Eppure sono state fatte molte scoperte, è avvenuto un grande sviluppo tecnico. Ma al bene si è mescolato il male, perché non ci si è mossi sotto lo sguardo di Dio, non lo si è ascoltato. Adesso tali conseguenze disastrose costringono a vedere la realtà tutti insieme nella prospettiva di un mondo unito: se non si affronta questo problema tutti insieme, non lo si risolverà». A citare questo testo di Chiara è Luciano Mazzoni, presidente del forum interreligioso di Parma, che continua il suo dialogo-confronto con AnShin Thomas e altri esponenti delle religioni monoteiste leggendo la conclusione a cui giunge la Lubich: «Penso che ci sono nelle nostre religioni le medicine per curare questo mondo malato e riportarlo alla salute, all’armonia, alla pace. Sono certa che i nostri sforzi vanno nella stessa direzione, e che sia utile perciò comunicarci idee, proposte e realizzazioni concrete. Sarà un contributo a fare del nostro mondo una casa degna dell’uomo».

 

E le medicine di cui parla la fondatrice del Movimento dei focolari ci sono. Forse sono somministrate a piccole dosi, o non sono sotto lo sguardo di una telecamera. Basti pensare a quello che fa – sempre a Parma – don Umberto Cocconi con tanti volontari: aiutano ex carcerati a ricominciare da capo. «Ci proponiamo – sottolinea il presidente dell’associazione S. Crisostomo – di aiutare, di dare una mano e poi, infine, questi incontri ci cambiano. Noi vogliamo dire a queste persone “Io ti guardo con libertà, io mi fido di te” e da qui scaturisce la pace in ognuno di noi e tra di noi». Su questa scia c’è anche il lavoro del pastore metodista Giuseppe La Pietra che lavora all’interno dell’associazione Libera per la lotta alle mafie: «Io mi sento inadeguato rispetto a quanto vorrei fare, ma questa non deve essere una scusa per rimanere fermo. L’armonia e la pace si hanno quando si realizza un piccolo passo in avanti, senza essere ancora arrivati e noi dobbiamo dar speranza: è questa, assieme alla propria esperienza di vita, che può essere oggi una risposta al silenzio dell’informazione ed essere promotrice di pace».

 

Allora, non è vero che stiamo tutti a guardare, attendendo l’alba di un mondo migliore. C’è chi si è rimboccato le maniche già da tempo e chi inizia oggi. E tu cosa sei disposto a fare per la pace?

 

 

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