Cosa può insegnarmi un bambino?
Sono numerosi i colleghi che da anni lo sottolineano, ma spontaneamente continuiamo a pensare che sono gli adulti ad insegnare ai bambini. Eppure giornalmente facciamo esperienza dell’imparare da loro. Ci insegnano attraverso la loro spontaneità e genuinità. Con la loro leggerezza e creatività trasformano una pozzanghera in un gioco insegnando a non guardare il problema, ma alla capacità di farne esperienza, di lasciarsi trasformare, seppure sporcare, ma con gioia.
Sono molti gli esempi da annoverare in cui i bambini ci sono maestri. Ad esempio, quando vogliamo capire la differenza tra la seduzione spontanea e quella studiata a tavolino, invito a guardare ai bambini. Hanno un fascino naturale che rapisce. Sono spontaneamente leggeri, centrati su sé stessi ed i propri bisogni, eppur capaci di interagire, non dimentichi dell’altro, bensì curiosi.
Oppure quando in un lavoro sul cambiamento c’è da essere tenace in un nuovo comportamento, basta ricordarsi di quanto tempo ci ha messo la mamma ad insegnargli a mangiare con la forchetta o ad allacciarsi le scarpe. Operazioni oggi automatizzate, ma all’epoca complicatissime. E ancora quando si sta collaudando un nuovo schema di comportamento e ci si sente insicuri, i propri passi sono ancora incerti e si fanno degli “errori”. Non importa. Non fanno anche così i bambini quando iniziano a camminare? È ogni caduta è l’occasione per rialzarsi. Neppure la frustrazione riesce a fermare la spinta all’autonomia motoria.
C’è un insegnamento che solo i bambini possono trasmettere e di cui l’adulto beneficia solo in virtù del suo esser stato bambino: la condizione psicologica del “bambino interno”. Di cosa si tratta? Secondo lo psicologo canadese Eric Berne è uno dei tre stadi interni che si attivano alternativamente ogni qualvolta la persona svolge una normale funzione psicofisica (pensiero, comunicazione, interazione, assunzione di decisioni, ecc.). Si tratta del noto GAB, acronimo del Genitore, Adulto e Bambino. Senza entrare troppo in questo elaborato modello di funzionamento della persona, torniamo alla capacità del bambino di viversi il “bambino interno”. Egli è ancora tutto bambino interno, pian piano comincia ad affiorare qualche barlume di voce genitoriale interiorizzata attraverso le regole, mentre l’adulto comparirà più avanti, man mano che aumenta il pensiero logico.
Le caratteristiche del bambino, per come le intende Berne, sono diverse: egli è espressione di una libertà interiore priva di giudizi e pregiudizi, è espressione di una vivacità e curiosità intellettuale e di grande creatività, il suo pensiero non conosce ancora gli schemi concettuali ed i limiti imposti all’adulto dal ragionamento, egli vive infatti ancora una condizione di pensiero onnipotente, in cui tutto è possibile.
Ogni bambino che incontriamo ci permette di ricontattare il nostro bambino interno e tende a condurci verso la gioia. È per questo che se gli concediamo di riattivarsi in noi, possiamo riscoprirci sotto nuove luci, e rompere con i molti schemi preordinati tenuti in essere dalla funzione genitoriale. QUesto può provocare qualche difficoltà: la più grande paura è infatti di non avere più parametri di riferimento per regolarsi (rimanere nella regola) e di perdere l’uso di una o entrambe le funzioni del genitore e dell’adulto. Sebbene questo rischio esista, ve ne è uno altrettanto grave: smettere di divertirsi e di emozionarsi non lasciandosi coinvolgere.
È l’integrazione dei tre status che permette di vivere la vita appieno in tutti i suoi aspetti: doveri, compiti e felicità. La cosa più importante che un bambino ci insegna è, dunque, di non rinunciare alla gioia. E per farlo egli suggerisce di passare attraverso l’esperienza di ciò che la produce. Il bambino, interno o reale che sia, indica a ciascuno di cercare la propria via per la felicità.