Cosa posso fare per i bambini migranti?

Alcune famiglie di Augusta e di Siracusa aprono la loro casa offrendosi come tutori per i ragazzi sbarcati a seguito dell’operazione Mare nostrum. Un atto di generosità non sempre supportato dalle istituzioni, mentre centinaia sono i bambini che giunti in Sicilia scompaiono
Famiglie di AccoglieRete

«Gli sbarchi li avevo visti solo in televisione e pensavo riguardassero solo Lampedusa, poi da gennaio sono arrivati anche nella mia città Augusta. Da queste navi militari vedevo sbarcare centinaia di persone e tra loro altrettante centinaia di bambini. La tragedia ci è piombata addosso senza capire cosa stavamo facendo». Giulio esordisce senza filtri incontrando i Giovani dei focolari riuniti a Siracusa per un Summer camp con bambini delle periferie e ragazzi migranti, giunti sulle coste siciliane senza i genitori. Giulio è un imprenditore ed è tutore di Ibrahim del Gambia e da qualche mese lo è diventato anche di Ismael, che durante la permanenza in Libia, in attesa dell’imbarco, aveva salvato la vita al ragazzo sedicenne che per primo aveva varcato la soglia di casa sua.

«Con Cristina, mia moglie, di fronte a quest’assedio e uso questa parola non per motivi razzisti, ma perché tutti eravamo impreparati, ci siamo fatti una domanda: cosa possiamo fare noi per questi ragazzi?». Giulio è un fiume in piena mentre racconta l’inizio di quest’avventura che grazie all’associazione AccoglieRete ha portato «i suoi figli da tre a cinque».

Giulio e Cristina non dimenticano il primo incontro con Ismael, arrivato a casa loro con un’amica per un caffè e dopo non più ripartito. Quel rap freestyle intonato come grazie all’uomo dalla grande voce (Giulio) e alla mamma (Cristina) li ha commossi e conquistati. Accettano la sfida di diventarne tutori e si ritrovano con un figlio diverso che non mangia se non si siede la padrona di casa, che non fuma, che non beve, che è grato e rispettoso e che nel mese di Ramadan sceglie di tornare in comunità perché «la preghiera fatta insieme è importante e in questo tempo devo curare lo spirito».

I timori per le malattie, per l’igiene sono alcuni dei tanti pregiudizi che sfidano la loro famiglia e gli altri figli naturali che dopo qualche iniziale perplessità hanno acconsentito anche ad Ibrahim di essere accolto.

Rita Gentile assistente sociale del comune sottolinea le difficoltà di questi affidi temporanei, anche per le tante pratiche burocratiche e per l’impreparazione dell’amministrazione comunale a rispondere con celerità alle necessità di accoglienza. Intanto 26 famiglie hanno risposto con generosità alla proposta di portare a casa un bambino migrante senza genitori. Tanti sono cristiani o legati ad una parrocchia ed è indubbiamente la fede uno dei motori più accelerati su questo percorso, che ha portato ad un affido collettivo di tre di loro, ora accuditi dall’intera comunità parrocchiale di Priolo, uno dei comuni dove si trova un centro di prima accoglienza per minori.

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