Cosa è rimasto dello spirito gandhiano in India?

Un Paese distratto, l’esatto opposto delle aspirazioni ed idee del Mahatma. L’India che dimentica i fuori casta e i suoi ottocentomila villaggi, è oggi leader della rivoluzione globale. Il governo in carica si ispira all’Hindutva, l’ideale che animava Godse, il fanatico che sparò a Gandhi. Ma ci sono anche altri segnali
Gandhi

In questi giorni ho avuto modo di avere molti contatti con Gandhi e il suo spirito in India. Fin dal giorno successivo al mio arrivo ho potuto visitare, a distanza di anni, il Birla House, dove Gandhi fu ucciso la sera del 30 gennaio 1948. È sempre un momento carico di emozioni quello che porta a camminare sulle orme di questo uomo, verso il punto dove Naturan Godse, fondamentalista fanatico indù, sparò quei colpi che avrebbero spento la luce della nazione, come Jawaharlal Nehru, avrebbe annunciato ai milioni di indiani poche ore dopo.

 

Nei giorni successivi, mentre mi trovavo nel sud India, ho avuto rapporti con diverse istituzioni indiane che conosco da tempo. In una di esse – lo Shanti Ashram di Coimbatore – ho assistito ad alcuni numeri preparati da bambini dei villaggi circostanti che mettevano in evidenza episodi o detti del Mahatma. Ho vissuto, dopo vari anni, a stretto contatto con leaders dei movimenti di Sarvodaya, il servizio per il bene comune, con i quali si sono realizzati e ancora si stanno realizzando programmi di collaborazione e scambi a livello di pensiero e spiritualità. Ho avuto anche la fortuna di celebrare l’anniversario del martirio del Mahatma in una scuola del Bharatya Vidhya Bhavan, una istituzione che, sebbene non ispirata da Gandhi, è stata tuttavia benedetta dal grande leader nei suoi intenti fondamentali: la diffusione della cultura dell’India con attenzione particolare all’induismo.

 

Tuttavia, spesso mi è sorta la domanda di cosa sia rimasto dello spirito gandhiano in India. È una domanda che mi sono fatto molte volte nei lunghi anni di permanenza nel Paese asiatico. L’interrogativo, quasi scontato se non retorico, non poteva non sorgere anche in questa occasione. Per esempio, mi ha colpito vedere che il Birla House di Delhi era abbastanza deserto. Fra i pochi visitatori, la maggioranza erano indubbiamente stranieri.

 

Inoltre, in un Paese ormai lontano anni luce dal periodo e dalla sensibilità di Gandhi sorgono spontanee alcune domande. Attualmente, infatti, il Paese è guidato da un governo che si ispira chiaramente all’ideale dell’Hindutva, lo stesso che animava Godse, il fanatico che sparò a Gandhi. La teoria dell’India come Paese per gli indù ha ulteriormente preso piede nella retorica dell’attuale governo e del suo Primo Ministro Surendra Modi. Non sono poche le tensioni che si sono create e le intemperanze che spesso tradiscono un certo disagio sociale.

 

Inoltre, a fronte dell’idea gandhiana di una economia di permanenza per assicurare la vita, la sopravvivenza e la stabilità dei villaggi – vera unità costitutiva dell’immenso Paese che ne annovera quasi ottocento mila –, l’India rappresenta oggi uno dei protagonisti della rivoluzione globale. Essa appare l’esatto polo opposto delle aspirazioni ed idee gandhiane. Come accennato in un altro articolo di qualche giorno fa su questa stessa rivista online, c’è, poi, una crescente reazione dei fuori casta allo status quo, che nonostante tutto continua a prevalere nel tessuto sociale indiano.

 

Gandhi, pur non avendo mai osteggiato la struttura sociale della tradizione indù, aveva sempre lottato affinchè i dalit, fuori casta, avessero tutti i diritti come harijans, veri figli di Dio. Così li chiamava. Infine, le organizzazioni che si ispirano al pensiero e all’azione di Gandhi, presenti in tutta l’India, da tempo segnano il passo per il progressivo ed inesorabile invecchiamento dei loro leaders, ormai tutti di generazioni successive al Mahatma. Non mancano tensioni e divisioni anche fra questi gruppi ed istituzioni.

 

Tuttavia, come sempre avviene in India, esiste anche un aspetto che pare contraddire tutto questo. In questi giorni, come detto, le visite ad alcuni centri e scuole di ispirazione gandhiana mi hanno permesso di prendere coscienza del fatto che, a fronte di tutto quanto detto, esiste ancora un reale e profondo impegno di adesione agli ideali gandhiani. Si tratta spesso di istituzioni che hanno un carattere satellitare che pare scomparire all’interno dell’immenso Paese. Tuttavia, l’impatto che possono vantare sul tessuto sociale e la ricaduta che hanno sul territorio circostanze è profonda e a largo raggio.

 

Inoltre, non si deve dimenticare che Gandhi ha avuto un impatto notevole su personalità della fine del secolo scorso che hanno, indubbiamente trovato ispirazione nel suo pensiero e nella sua vita. Martin Luther King Jr., Desmond Tutu, Nelson Mandela e la leader birmana Aung San Suu Kyi hanno tratto ispirazione dalla teoria della non-violenza, l’ahimsa. Difficile dire, quindi, cosa resti e quanto attuale sia ancora il Mahatma, che resta indubbiamente una persona che non lascia indifferenti e, allo stesso tempo, controversa fra le tendenze del fondamentalismo indù nazionalista e le sue aperture ad una tolleranza universale.

 

Aveva ragione Albert Einstein che pochi giorni dopo la morte di Gandhi dichiarò: «Forse le generazioni a venire crederanno a fatica che un individuo in carne e ossa come questo ha camminato su questa terra». Il problema, tuttavia, non sta nella grandezza di quest’uomo, ma nella nostra piccolezza ed incapacità di cogliere veramente quanto egli ha fatto e detto, soprattutto, con la sua vita e la sua morte.

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