Cosa ci insegna la crisi del gas russo?
L’enorme sviluppo della nostra società a partire dalla Rivoluzione industriale è strettamente legato alla disponibilità di grandi quantità di energia, prodotta principalmente da fonti fossili: carbone, petrolio e gas naturale.
Bruciando questi combustibili, riscaldiamo edifici, mettiamo in moto veicoli e – soprattutto – produciamo energia elettrica, indispensabile per usi industriali e domestici.
Purtroppo, la combustione di carbone, petrolio e gas naturale produce anidride carbonica, il gas serra che contribuisce maggiormente al riscaldamento globale, argomento passato ormai di prepotenza dalle riviste specializzate ai mass media, a causa dei suoi effetti ormai tangibili, ad esempio sotto forma di siccità eccezionali e bombe d’acqua.
L’umanità si è avviata ad abbandonare le fonti fossili, sostituendole con quelle rinnovabili che, sfruttando le forze della natura, non producono anidride carbonica. Purtroppo, solo un quinto dell’energia è prodotto con fonti rinnovabili. Il resto proviene in parti grosso modo uguali da carbone, petrolio e gas naturale.
Il primo aspetto della sfida delle risorse energetiche è quindi la necessità di aumentare l’utilizzo di fonti rinnovabili, abbandonando le fonti fossili entro il 2050 per evitare la catastrofe climatica.
Il secondo aspetto è legato all’efficienza energetica: prima ancora di modificare il nostro modo di produrre energia, dobbiamo imparare a non sprecarla, con lo stesso buon senso che ci fa verificare che un secchio non sia bucato, prima di preoccuparci di quale sorgente d’acqua useremo per riempirlo.
In entrambi i casi, la crisi del gas russo può essere un’occasione per accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, soprattutto per un paese come il nostro che, a differenza della media mondiale, ha praticamente abbandonato il carbone sostituendolo con petrolio e gas naturale.
Un terzo aspetto della sfida, applicabile a tutte le risorse, energetiche e non, consiste nell’urgenza di una loro distribuzione più equa a livello planetario. Basta dare un’occhiata alla figura, per renderci conto che vale per l’energia la stessa ingiustizia che troviamo nell’utilizzo degli altri beni, sfruttati in gran parte dai paesi ricchi.
Per questo, occorre allargare lo sguardo al di là della crisi del gas russo. È inaccettabile che nel mondo il 10% della popolazione possieda oltre il 50% della ricchezza e che il Mediterraneo continui a essere la tomba di disperati in fuga da guerra, povertà e catastrofi climatiche. I muri non fermeranno gli inquinanti, i migranti e le risorse.
Ispirati dalla “destinazione universale dei beni”, una delle proposte chiave della Dottrina sociale della Chiesa, dovremo condividere le risorse con gli altri abitanti del pianeta, come affermava Benedetto XVI nella Caritas in veritate: «Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico sia perché le attività manifatturiere evolvono, sia perché tra i loro cittadini si diffonde una sensibilità ecologica maggiore. Si deve inoltre aggiungere che oggi è realizzabile un miglioramento dell’efficienza energetica ed è al tempo stesso possibile far avanzare la ricerca di energie alternative. È però anche necessaria una ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi».
Per realizzare questa conversione ecologica occorre una cultura nuova che ci spinga ad adottare stili di vita meno consumistici (energivori) e più solidali, come indicato da Francesco nella Laudato si’: «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante … si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera».
Fermiamoci un momento e osserviamo la nostra vita: siamo sempre di corsa, anche lo svago diventa uno stress, senza un momento per noi stessi e per il nostro rapporto con la natura, gli altri, Dio. Non pagheremmo un prezzo elevato pur di avere un po’ più di tempo, pur di essere un po’ più liberi? Non varrebbe la pena avere qualcosa in meno, magari dimenticato in un armadio, per vivere con pienezza il momento presente, dedicandolo a ciò che nutre il nostro spirito, come l’amicizia e la bellezza?
Risorse e speculazione, l’anno della fame senza precedenti
(A cura di Carlo Cefaloni)
Il World Food Programme, il Programma alimentare mondiale dell’Onu, Nobel per la pace 2020, ha lanciato un forte allarme: l’anno 2022 rappresenta “l’anno della fame senza precedenti”. «Sono 828 milioni le persone che vanno a dormire a stomaco vuoto, ogni sera, mentre il numero di quanti soffrono di insicurezza alimentare acuta è schizzato da 135 milioni nel 2019 a 345 milioni oggi. Sono sull’orlo della carestia 50 milioni di persone, in 45 Paesi». Non si tratta solo di cercare più soldi dagli stati per rispondere a tale emergenza ma di capire le cause reali di questo fenomeno.
Come fa notare tuttavia Oxfam, «abbiamo quantità di cibo sufficiente a sfamare l’intera popolazione mondiale» Nel suo ultimo rapporto l’organizzazione internazionale non profit pone in evidenza che la crisi alimentare è stata accelerata dalla guerra in Ucraina, ma la causa originaria si deve far risalire alle logiche finanziarie che stanno influenzando i prezzi. «Il cibo è diventato un asset su cui scommettere e speculare alla Borsa di Chicago, che determina il prezzo delle materie prime, soprattutto nel settore cerealicolo. Basti pensare che i prezzi del grano erano aumentati dell’80% già tra aprile 2020 e dicembre 2021».
Il problema da risolvere è la disfunzionalità del sistema attuale dove «molti Paesi a basso reddito producono cibo solo per l’esportazione, senza essere in grado di sfamare la propria popolazione. Trovandosi così costretti a dipendere quasi totalmente dalle importazioni di cibo da una manciata di Paesi come la Russia e l’Ucraina». Non si può perciò definire di fatto il diritto al cibo come diritto umano fondamentale senza agire su tali sistemi speculativi.