Cosa c’è dietro alla recente tensione fra India e Canada?

«Non tollereremo mai il coinvolgimento di un governo straniero che minaccia e uccide cittadini canadesi sul suolo canadese», ha detto Trudeau nei giorni scorsi. Lo spettro del Khalistan, la terra libera, il sogno di molti sikh del Punjab indiano, continua a perseguitare l’India, ma sempre più a livello internazionale. La questione è complessa, soprattutto considerando l’alto numero di sikh indiani che vivono in Canada e Usa, e che sono ormai diventati cittadini canadesi e statunitensi
Richiesta di giustizia per Hardeep Singh Nijjar, il leader Sikh ucciso a inizio anno, al Consulato Generale indiano a Vancouver, British Columbia, Canada, 25 Settembre 2023. Il primo ministro canadese Trudeau ha accusato gli agenti del governo indiano di aver compiuto l'omicidio di Nijjar a giugno, un'accusa che ha aumentato le tensioni diplomatiche tra i due paesi. Ansa EPA/ETHAN CAIRNS

Nel giugno del 2023, un sikh di 45 anni, Hardeep Singh Nijjar, viene ucciso con un colpo di pistola all’esterno di un tempio sikh a Surrey, un sobborgo di Vancouver, in Canada. Si tratta di una zona con una forte presenza di popolazione sikh. Nijjar non era un qualunque sikh di origine indiana, ma un cittadino canadese che da tempo si batteva per la creazione di uno Stato sikh indipendente dalla madrepatria, l’India. Non si trattava di una novità. Vari decenni orsono, il Khalistan, la terra libera, era stato il sogno di una grossa fetta di sikh del Punjab indiano, come pure della diaspora residente in Canada. Per questo era scoppiata, attorno ad Amritsar, sede del Tempio d’Oro, luogo sacro per eccellenza di questa religione, una vera guerra civile. La guidava Jarnail Singh Bhindranwale, un leader religioso diventato, di fatto, guerrigliero e impostosi come figura di spicco del movimento per uno Stato sikh indipendente. Bhindrawale, dopo vari anni di lotta sanguinosa contro il governo indiano, fu tra i guerriglieri uccisi nell’Operazione Blue Star che Indira Gandhi, allora primo ministro indiano, scatenò all’interno del Tempio d’Oro di Amritsar, diventato ormai il quartier generale di Bhindrawale e un vero arsenale da guerra. Da lì nacque una escalation drammatica che portò all’assassinio del primo ministro indiano nell’ottobre del 1984 da parte di due sue guardie del corpo, entrambe sikh. Negli anni a seguire, oltre alla feroce guerra interna al Punjab, che durò fino all’ultimo decennio del secolo scorso, ci furono altri episodi drammatici, come l’attentato sul volo Air India (Emperor Kanishka – AI 182) che nell’estate del 1985 si disintegrò mentre volava sull’Oceano Atlantico a causa di una bomba posta sottobordo da un gruppo di sostenitori del Khalistan, residenti in Canada.

Si capisce, dunque, la grande preoccupazione che si era sviluppata attorno alla figura di Nijjar, che si era fatto promotore di un rinnovato impegno per il Khalistan, raccogliendo simpatie e appoggio della comunità sikh in Canada. Per questo, nel settembre del 2023, il primo ministro indiano, Narendra Modi, a margine di un vertice del G20 a Nuova Delhi, aveva comunicato al primo ministro canadese Trudeau le forti preoccupazioni per le proteste dei separatisti Sikh in Canada. Quasi contemporaneamente si interrompono i colloqui su una proposta di trattato commerciale con l’India e, da questi fatti, inizia una escalation progressiva che ha portato, nelle ultime settimane, ad una vera guerra diplomatica fra i due Paesi, con espulsioni a catena di diplomatici presso le ambasciate nei rispettivi Paesi. In effetti, sempre nell’autunno dell’anno scorso, Trudeau aveva dichiarato di fronte al Parlamento canadese che il governo era impegnato a esaminare e approfondire “accuse credibili” nei confronti del governo indiano, che pareva essere stato coinvolto, grazie ad agenti dell’intelligence di Delhi nell’eliminazione di Nijjar. L’India, da sempre estremamente sensibile alle intromissioni nelle questioni interne da parte di Paesi stranieri, intervenne, respingendo l’affermazione di Trudeau come “assurda”. Tuttavia, in segno di rappresaglia, il Canada arrivò all’espulsione dell’alto funzionario dell’intelligence indiana nel Paese, con immediata decisione analoga da parte indiana. Ma l’escalation non si ferma e, nel giro di qualche giorno, l’India provvede a sospendere il rilascio di nuovi visti per i canadesi, chiedendo a Ottawa di ridurre la sua presenza diplomatica in India. Tuttavia, dopo un paio di mesi l’India riprende il rilascio dei visti, aprendo apparentemente la porta a un dialogo fra le parti. Il Canada, da parte sua, arriva a ritirare ben 41 diplomatici dalla sua ambasciata a New Delhi, mettendo in chiaro che la decisione è legata all’omicidio di Nijjar in Canada.

Un ulteriore fatto preoccupante sia per l’Inda che per il Canada accade il 29 ottobre 2023. Decine di migliaia di sikh si riuniscono a Surrey, nella Columbia Britannica, nello stesso gurudwara, dove Nijjar era stato ucciso, per votare in un referendum non ufficiale sulla creazione di uno Stato sikh indipendente. A questo punto, la National Investigation Agency indiana denuncia un altro sikh, il cui nome, Gurpatwant Singh Pannun, figura nella lista dei separatisti e che pare avesse avvertito i passeggeri dell’Air India 182 con messaggi video condivisi sui social media che le loro vite erano in pericolo. I casi che riguardano questa nuova figura sconfinano negli Usa, quando il presidente Biden dichiara che le autorità statunitensi hanno sventato un complotto per uccidere Pannun negli Stati Uniti e hanno lanciato un avvertimento all’India per timore che il governo di New Delhi fosse coinvolto.

Ormai si sta arrivando ad una vera guerra diplomatica, ulteriormente acuita da una intervista rilasciata, nel febbraio di quest’anno, al quotidiano canadese Globe and Mail dall’Alto Commissario (l’Ambasciatore nei Paesi del Commonwealth porta questo titolo) indiano che ha affermato che l’India non fornirà informazioni agli investigatori canadesi sull’omicidio di Nijjar finché il Canada non produrrà le evidenze per le accuse mosse al suo Paese. Anche gli Stati Uniti sono ormai coinvolti e, nell’aprile di quest’anno, la Casa Bianca definisce grave la notizia riportata dal Washington Post secondo la quale un ufficiale dei servizi segreti indiani sarebbe direttamente coinvolto sia nell’omicidio di Nijjar sia nel complotto sventato per uccidere Pannun negli Stati Uniti. Delhi risponde a tono: «imputazioni ingiustificate e prive di fondamento».

Dopo nuove accuse reciproche di coinvolgimenti in interferenze, la scorsa settimana, si è arrivati, nuovamente, ad un inasprimento della guerra diplomatica. Il Canada ha espulso 6 diplomatici indiani, tra cui l’Alto Commissario, collegandoli tutti all’omicidio di un leader separatista sikh e sostenendo che vi sia uno sforzo più ampio per colpire i dissidenti indiani in Canada. La reazione indiana è stata immediata, con l’ordine di espulsione per 6 diplomatici canadesi di alto rango, tra cui l’Alto Commissario in carica. Il primo ministro canadese Justin Trudeau arriva a dichiarare: «Non tollereremo mai il coinvolgimento di un governo straniero che minaccia e uccide cittadini canadesi sul suolo canadese». Lo spettro del Khalistan continua, in qualche modo, a perseguitare l’India, ma ora sempre più a livello internazionale. La questione è delicata anche considerando il numero di sikh indiani che vivono in Nord America.

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