Corte penale internazionale e crimini di guerra
Lo scorso 21 novembre 2024 la Corte Penale Internazionale (in seguito CPI) ha emesso mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per il suo ex Ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant e, con loro, per il capo dell’ala militare di Hamas, Diab Ibrahim al-Masri (noto come Mohammed Deif).
Questo significa che per i giudici della Camera Predibattimentale ci sono fondati e ragionevoli motivi per ritenere che i tre leader abbiano responsabilità penali per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dall’8 ottobre 2023 fino ad almeno il 20 maggio 2024, giorno in cui la Procura della CPI ha depositato la richiesta.
Il loro arresto sarebbe pertanto necessario al fine di garantire la loro comparizione in giudizio, evitare forme di ostruzionismo della giustizia o di intralcio alla prosecuzione delle indagini. Esso sarebbe inoltre funzionale ad impedire la commissione di ulteriori e connessi crimini (come recita l’art. 58 par. 1 lett. b) dello Statuto di Roma della CPI).
Cosa prevedono i mandati di arresto
Nello specifico, la CPI ha emesso differenti mandati di arresto, che sono classificati come “segreti”, al fine di proteggere i testimoni e di salvaguardare lo svolgimento delle indagini, ma di cui la Camera predibattimentale della CPI ha deciso di divulgare alcune informazioni, ritenendo che condotte simili siano ancora in corso e che sia nell’interesse delle vittime e delle loro famiglie essere informate sull’esistenza di tali mandati (https://www.icc-cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-rejects-state-israels-challenges).
Quanto al contenuto dei mandati d’arresto, il comunicato stampa ci informa che i capi di imputazione contestati a Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant sono: il crimine di guerra di starvation, che identifica la condotta di affamare deliberatamente la popolazione civile come un metodo di guerra; e i crimini contro l’umanità di “omicidio, atti di persecuzione e altri atti disumani”.
In questo caso entrambi gli individui sarebbero responsabili penalmente per tali crimini in qualità di co-autori, avendo partecipato materialmente alla loro commissione. Essi sono altresì accusati di essere responsabili, in quanto superiori civili, del crimine di guerra di aver intenzionalmente diretto attacchi contro civili, data la loro incapacità di prevenire o reprimere due episodi di attacchi armati (https://www.icc-cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-rejects-state-israels-challenges).
Non sono stati, quindi, confermati il capo d’accusa di sterminio, quale crimine contro l’umanità che attiene alla condotta di deprivare intenzionalmente la popolazione civile di beni indispensabili alla sopravvivenza, e non si menziona nemmeno il crimine di genocidio.
Con riferimento a quest’ultimo, occorre specificare che, da un punto di vista giuridico, tanto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1949, quanto lo Statuto di Roma della CPI del 1998, forniscono delle indicazioni molto dettagliate perché si possa considerare la sua configurazione.
Solamente un’accurata raccolta delle prove concrete e una loro compiuta valutazione da parte dei giudici potranno confermare se gli atti di persecuzione attualmente contestati si inquadreranno nella fattispecie di crimine contro l’umanità – come avvenuto nel mandato d’arresto – o in quello di genocidio, dal momento che le condotte materiali appaiono in parte sovrapponibili.
La situazione concreta è in continua evoluzione, ma su questo tema svolgerà un ruolo cruciale il procedimento attivato dal Sud Africa contro lo Stato di Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (di cui si è fatta menzione qui e qui).
Diversamente, nei confronti di Mohammed Deif, l’unico leader di Hamas rimasto in vita fra i tre indicati dal Procuratore Kharim Khan nella richiesta del 20 maggio scorso, le imputazioni riguardano: il crimine contro l’umanità di sterminio; il crimine di guerra consistente nella presa di ostaggi; il crimine di guerra e crimine contro l’umanità di tortura, di stupro e violenza sessuale e i crimini di guerra di trattamento crudele e di oltraggio alla dignità personale.
Anche Deif viene considerato sia responsabile diretto, sia per conto dei propri subordinati in quanto comandante militare (https://www.icc-cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-issues-warrant-arrest-mohammed-diab-ibrahim).
Le prime reazioni
Bisogna anzitutto riscontrare che, già lo scorso 26 settembre, Israele aveva presentato ricorso contro la richiesta della Procura della CPI di emettere i mandati d’arresto, contestando la giurisdizione della Corte sul caso di specie e sui cittadini israeliani nello specifico, sulla base dell’art. 19.2 dello Statuto di Roma.
Israele riteneva, cioè, che per esercitare la propria giurisdizione, la Corte avesse bisogno del consenso dello Stato, che non è parte dello Statuto della Corte e che non aveva acconsentito allo svolgimento delle indagini da parte della Procura.
La Corte ha rigettato i ricorsi, confermando che il consenso dello Stato di Israele non era necessario affinché la Corte potesse esercitare la propria giurisdizione sui territori palestinesi occupati, perché la Palestina è divenuta parte allo Statuto di Roma nel 2015 e questo dà alla Corte la giurisdizione ratione loci su questi territori.
La Corte ha anche escluso che ci dovesse essere una ulteriore notifica, oltre a quella che era stata inviata nel 2021 ad Israele, quando furono avviate le indagini, confermando così la legittimità delle indagini sui crimini perpetrati nei territori palestinesi occupati.
Che cosa succederà ora
Di fronte a quanto avvenuto, i mandati d’arresto rappresentano un passo significativo nel tentativo di indurre ad una cessazione delle ostilità e nell’auspicio di ricomporre l’ordine costituito per mezzo della giustizia.
Si tratta, però, del primo passo, dal momento che la fase successiva del procedimento prevede una preliminare conferma delle accuse che precede l’avvio del processo, quando la Camera predibattimentale tiene un’udienza – normalmente in presenza delle persone accusate – per valutare se ciascuna accusa sia supportata da prove sufficienti.
La presenza dell’indagato, quale precondizione per la prosecuzione dell’azione penale davanti alla Corte, è strettamente connessa al rispetto da parte di tutti gli Stati Membri della Corte, dell’obbligo di cooperazione con essa, dal momento che sono gli Stati a dover collaborare per eseguire i mandati d’arresto e consegnare gli indagati alla Corte stessa.
Ciò significa che essi non devono avanzare giustificazioni, come talvolta è avvenuto, per il mancato trasferimento alla Corte degli individui su cui grava un mandato d’arresto. Un’eventualità, questa, che non è remota, se pensiamo al fatto che per i Capi di Stato e di Governo in carica l’esecuzione dei mandati è particolarmente difficile. Questo si è avverato, ad esempio, con l’ex presidente del Sudan, allora presidente in carica Homan al Bashir, che continuò a viaggiare in molti Paesi africani e in Paesi parte dello Statuto di Roma senza essere arrestato, nonostante il mandato d’arresto pendente.
O, ancora, recentemente così è avvenuto con rifermento al presidente russo Vladimir Putin, che ha viaggiato in Mongolia, Paese parte dello Statuto di Roma, e non è stato arrestato, nonostante l’emissione nei suoi confronti di un mandato d’arresto nel 2023.
Ciò significa che, sebbene i Paesi che hanno aderito allo Statuto di Roma dovrebbero attuare l’obbligo di arrestare e consegnare alla Corte i presunti criminali che si trovino sul loro territorio, molti di questi Stati avanzano la tesi dell’immunità dei Capi di Governo in carica, per evitare di eseguire il mandato di arresto.
Questo dimostra, ancora una volta che, nell’arena internazionale, le iniziative legali devono andare di pari passo con una chiara presa di posizione politica da parte della Comunità internazionale: solo se ci sarà una ferma volontà di perseguire i crimini commessi a danno di tantissime persone innocenti e solo se si converrà sull’urgenza di porre fine alla guerra, che il Santo Padre ha recentemente definito “un orrore” che “offende Dio e l’umanità”, allora si potrà assicurare che gli sforzi presi dalla Comunità internazionale e, in particolare, queste iniziative non resteranno simboliche e sortiranno gli effetti sperati.
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