Il corridoio di pace tra Pakistan e India

È stato aperto un passaggio tra i due Paesi per poter celebrare l’anniversario di Guru Nanak, tra i fondatori del sikhismo, mezzo millennio fa
Sikhs light candles at the Golden Temple, the holiest of Sikh shrines on the birth anniversary of Guru Nanak in Amritsar, India, Tuesday, Nov. 12, 2019. Sikhs across the world are marking the birth anniversary of Guru Nanak, the founder of Sikhism and first guru. (AP Photo/Prabhjot Gill)

Già abbiamo parlato dell’anniversario importante che i fedeli sikh stanno celebrando in questi giorni. Sono trascorsi cinque secoli e mezzo dalla nascita del loro fondatore, Guru Nanak Devji, nato e morto nel Punjab e più precisamente nella parte attualmente pakistana dello Stato del sub-continente indiano. Il predicatore punjabi, che ebbe un grande seguito durante uno dei momenti più oscuri della storia religiosa della regione, dopo aver viaggiato a lungo, concluse la sua vita a Kartarpur dove visse per 18 anni all’interno del Gurudwara Darbar Sahib. Qui morì nel 1539.

Il luogo sacro (il gurudwara) sorge in una località a pochi chilometri – 4,5 per l’esattezza – dal confine fra Pakistan e India e per importanza è secondo solo ad un altro gurudwara, il Janam Asthan, costruito nella località dove il guru fondatore di questa religione era nato. Il 12 novembre ha rappresentato il culmine delle celebrazioni, che hanno visto la presenza di pellegrini da diverse parti del mondo. I sikh sono molto presenti nel Regno Unito, ma anche in Australia e in Canada ed in alcune nazioni dell’Africa, in particolare in Kenya ed in Sud Africa.

Tuttavia, la grossa novità degli ultimi giorni è stata una iniziativa incoraggiante del governo pakistano a favore dei pellegrini sikh desiderosi di recarsi a Kartarpur dall’India. È noto che fra i due Paesi i rapporti sono sempre stati difficili e, negli ultimi mesi, si sono acuite le tensioni anche per interessi politici interni alle due nazioni. Tuttavia, il governo di Islamabad nel novembre 2018 aveva approvato un progetto che prevedeva la creazione di un corridoio che permettesse ai sikh indiani di recarsi nel luogo sacro al loro fondatore. Già una ventina di anni fa se ne era parlato, ma solo recentemente, sia pure fra le tensioni continue fra India e Pakistan a causa del Kashmir, si sono realizzate iniziative che portato all’apertura del corridoio.

Alla fine della scorsa settimana, in centinaia hanno iniziato a passare il confine e uno dei primi convogli di pellegrini è stato salutato dal primo ministro Narendra Modi. Da parte sua, il premier pakistano Imran Khan ha abolito almeno momentaneamente la tassa per oltrepassare il confine, ha ridotto le barriere e facilitato gli spostamenti in una zona così delicata, oltre ad aver costruito un apposito terminal per i bus provenienti dall’India. L’iniziativa è significativa. Infatti, da più di 70 anni – da quando i due Stati sono indipendenti e il sub-continente ha subito la dolorosa partizione di cui soffre ancora oggi – i pellegrini non avevano avuto il permesso di andare e venire. Durante il 2019, il governo pakistano ha, inoltre, provveduto alle spese di ripulitura dell’edificio e del piazzale antistante al gurudwara; il cortile è stato allargato; sono stati costruiti un museo, una libreria, dormitori, spogliatoi, un centro per immigrati e un terrapieno per proteggere il santuario in caso di alluvioni.

Si calcola che le strutture del tempio potranno accogliere fino a cinquemila fedeli al giorno, per un totale massimo di diecimila visitatori. Fra i primi a varcare il confine approfittando del nuovo “corridoio” anche l’attuale primo ministro del Punjab indiano, Amarinder Singh, lui stesso sikh, che ha immediatamente twittato il seguente messaggio: «L’apertura dello storico #KartarpurCorridor è una testimonianza dell’impegno alla pace nella regione». Fra i pellegrini, ricevuti dal primo ministro pakistano al loro arrivo, figuravano altre personalità fra le quali l’on. Manmohan Singh, già primo ministro indiano per due mandati.

L’iniziativa è senza dubbio interessante e contribuisce ad allentare le tensioni che negli ultimi mesi si sono acuite, soprattutto dopo la decisione del presidente indiano Modi di cambiare lo statuto del Kashmir, territorio contestato fra India e Pakistan, declassato da “Stato” a “Territorio” dell’Unione e, come tale, legato direttamente al governo di Delhi, senza più un suo parlamento locale ed un primo ministro.

I segni di distensione sono certamente incoraggianti, ma si deve prestare attenzione anche al fatto che entrambi i governi hanno, in questo momento, bisogno di lanciare segni di buona volontà e di apertura. A parte la situazione dei rapporti fra India e Pakistan, infatti, la Corte suprema dell’India ha appena assegnato il terreno conteso ad Ayodhya alla comunità indù a scapito di quella pakistana. Modi ha, senza dubbio, approfittato del gesto di Islamabad per condividere un atteggiamento di apertura verso la comunità sikh. Anche Imran Khan, dopo le tensioni e le accuse lanciate verso l’India a causa della situazione del Kashmir, doveva trovare una opportunità per mostrare segnali di apertura e di distensione. Il fattore religioso resta, quindi, una discriminante importante nel panorama del subcontinente. Senza dubbio, per la comunità sikh sono giorni importanti al di là delle questioni politiche, delle tensioni internazionali e della retorica nazionalista.

 

 

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